di Alessandro Lanni (@alessandrolanni)
«Mi chiedo se abbiamo compreso appieno come la paura pervada la nostra società e definisca il tono emotivo della nostra politica». Lo scriveva a fine aprile David Brooks sul New York Times commentando l’ultima strage compiuta da un terrorista. «Quando gli storici definiranno quest’epoca potranno benissimo vederla soprattutto come un tempo definito dalla paura».
La paura genera paura. E soprattutto cavalcare la paura in molti casi paga. Paga in politica – ed è per questo che in questi anni sono nati e si sono affermati molti “imprenditori politici della paura”, come li ha battezzati Ilvo Diamanti – e paga nei media che trasformano ogni news in una breaking news per vincere la gara delle condivisioni e delle pagine viste.
In mezzo c’è l’opinione pubblica, terzo polo del circuito della democrazia ed esposta quotidianamente al vento della paura. «La paura precede i fatti e infiamma l’immaginazione», indipendentemente da quello che sta davvero succedendo – chiosa ancora Brooks – che scrive a proposito dagli Usa post 11/9, il paese che alla fine è arrivato a eleggere un presidente che si è fatto specchio proprio delle sue paure.
Eppure, la stessa Europa è spaccata dalla paura, come certifica l’ultimo rapporto della Fondazione Bertelsmann (11mila interviste compiute nel dicembre 2018): il 51% è preoccupato mentre il 49 non lo è. E questa frattura ha effetti sulla polarizzazione politica che sta attraversando l’Europa in questi anni. Due sentimenti che guideranno la scelta nelle prossime elezioni europee che si svolgeranno nei 28 paesi dell’Unione tra il 23 e il 26 maggio.
Due stati d’animo e due opzioni politiche corrispondenti. Secondo il rapporto – significativamente intitolato “The Hopeful, the Fearful and the Furious: Polarization and the 2019 European Parliamentary Elections” –, ci sarebbero da una parte i cittadini europei più fiduciosi e più inclini a scegliere partiti centristi e pro-Ue e dall’altra i più impauriti e orientati verso i partiti populisti, d’estrema destra oppure che si dicono lontani da qualsiasi formazione tradizionale.
«La crisi dell’Eurozona e l’aumento dei flussi migratori provenienti dalla Siria e da altre parti del mondo sono generalmente considerati come catalizzatori del sostegno dei partiti euroscettici negli ultimi dieci anni», scrivono gli autori della ricerca Bertelsmann. Volenti o nolenti, consapevoli o meno delle mistificazioni, i cittadini europei voteranno anche sullo spauracchio “immigrazione”, spesso avvicinato maliziosamente dai famosi “imprenditori” di cui sopra alla voce “terrorismo”. Ma sono davvero migranti e rifugiati la principale ansia dei cittadini europei?
In Europa – non solo in Italia – sembra che il vento sia cambiato. Secondo quanto registra l’ultimo sondaggio di Eurobarometro (dati febbraio-marzo 2019) nella maggior parte dei paesi europei l’immigrazione è scesa come principale preoccupazione politica. «La questione dell’immigrazione ha perso importanza come tema della campagna elettorale. Sebbene sia ancora considerata una delle principali preoccupazioni di molti europei, l’importanza ad essa attribuita è notevolmente diminuita negli ultimi sei mesi», scrivono i curatori del sondaggio che ha interpellato quasi 28mila europei dai 15 anni in su.
L’immigrazione continua a essere una priorità per gli europei, ma un po’ meno. Passa dal primo posto a settembre 2018 al terzo dietro crescita economica e disoccupazione giovanile. Si tratta di un calo diffuso nella maggior parte dei paesi, anche in quelli dove l’immigrazione è stata più presente nella politica e nei media: in Danimarca (41%, -14 punti rispetto ad aprile), in Italia (62%, -9) e in Germania (48%, -8), addirittura un forte calo nei paesi del Gruppo di Visegrad (per dire: Polonia -10%, Repubblica Ceca -10% e Ungheria -4%). Complessivamente nell’Ue, il calo è del 6%. Romania e Lituania sono gli unici paesi dove cresce l’attenzione verso l’immigrazione (rispettivamente +5% e +2%).
Dare un spiegazione di questo calo complessivo non è facile. Certo, la diminuzione del numero di richieste d’asilo e degli arrivi può aver modificato le priorità dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, una diminuita attenzione dei media e della politica ha avuto l’effetto di un raffreddamento complessivo, almeno nella radicalizzazione delle opinioni su questo tema. Certo, non è cambiata la necessità di una politica europea capace di affrontare la questione.
Se da una parte si prende atto di una minore attenzione da parte della politica e del sistema dei media, e di un calo d’interesse da parte dell’opinione pubblica, dall’altra ciò non significa aver risolto la questione dei rifugiati, della loro protezione e della loro accoglienza. Anzi, il rischio è che il tema per quanto centrale scompaia dai radar politico-mediatici.
In vista del voto europeo, Unhcr – l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati – ha formulato 7 richieste al nuovo Parlamento Europeo che si costituirà tra poche settimane.
Un appello concreto che individua i nodi chiave e suggerisce strade praticabili di risoluzione. A partire dalla possibilità di chiedere protezione alle frontiere, dalla accelerazione dei tempi per le domande d’asilo, dalla riduzione della detenzione. Ma nelle proposte dell’Alto Commissariato c’è anche l’invito alla “solidarietà europea” per i futuri 750 rappresentanti europei – «La responsabilità di accogliere e ospitare le persone che cercano sicurezza e asilo può essere condivisa in modo equo e pratico» – e ad aumentare i canali legali d’ingresso sicuro in Europa. E infine, aspetto fondamentale, le politiche indirizzate ai rifugiati non possono limitarsi alla protezione e alla prima accoglienza ma devono farsi carico anche della garanzia di una vita dignitosa per chi arriva nell’Unione Europea spoglio in fuga da violenze, persecuzioni e conflitti.
La foto in evidenza è di European Parliament audiovisual
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