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Senegal: verso la fine della crisi politica? Macky Sall e il rischio del “colpo di Stato istituzionale”

di Gabriele Druetta*

Dopo due giorni di dialogo nazionale, Macky Sall, Presidente della Repubblica senegalese, dovrà comunicare se accetterà il 2 giugno come nuova data proposta per le elezioni, e se confermerà la sua disponibilità a restare al potere fino all’insediamento del suo successore. Le proposte arrivano alla fine delle consultazioni, convocate dal presidente lo scorso 22 febbraio, data in cui Sall aveva anche annunciato in diretta nazionale che avrebbe mantenuto la promessa di non restare in carica oltre i tempi dettati dalla Costituzione. La nuova data potrebbe rappresentare l’epilogo della crisi politica e istituzionale scoppiata il 3 febbraio con il rinvio inedito delle elezioni previste il 25 dello stesso mese e la successiva storica sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato la legge proposta dal Presidente e votata dall’Assemblea Nazionale. Nelle ultime settimane, il Senegal ha infatti suscitato il timore che potesse unirsi al “club dei putschisti”, voltando pagina alla sua storica tradizione democratica.

A fine gennaio la Corte pubblica la lista dei candidati. Tra questi non compare Karim Wade, ora in esilio in Qatar e figlio dell’ex Presidente della Repubblica Abdoulaye Wade, scartato a causa della sua doppia cittadinanza franco-senegalese. Il Partito democratico senegalese (PDS) chiede di convocare una Commissione parlamentare per far luce sull’esclusione del suocandidato, denunciando due dei sette giudici della Corte di conflitto d’interessi e corruzione. La stessa denuncia viene mossacontro Amadou Ba, attuale Primo Ministro e candidato designato da Sall. Il PDS chiede di riesaminare tutto il processo elettorale, con il rischio di posticipare le elezioni. La mozione viene votata dalla maggioranza, in un’inedita alleanza con l’opposizione di Wade.

Secondo indiscrezioni, Macky Sall si sarebbe riavvicinato a Karim Wade durante l’estate. Nello stesso periodo si sarebbe anche resoconto che il suo delfino non avrebbe avuto il supporto necessario per vincere, con il rischio di lasciare la vittoria a BassirouDiomaye Faye, successore del suo principale oppositore politicoOusmane Sonko, presidente incarcerato dell’ex PASTEF, al centro della crisi di giugno. Per questo motivo, secondo molti osservatori, Sall ha annunciato il 3 febbraio di aver firmato il decreto abrogativo per il rinvio sine die delle elezioni, previste inizialmente per il 25 del mese. Inizia così una crisi inedita per il Senegal, paese che non ha mai saltato un appuntamento elettorale dalla sua indipendenza.

Al grido di “Macky Sall dittatore”, le strade e le piazze si affollano per denunciare il “colpo di Stato istituzionale”. In un clima teso e violento, in cui la gendarmeria entra in parlamento escludendo l’opposizione, il 5 febbraio l’Assemblea Nazionalevota a favore del rinvio. Inizialmente previste per il 25 agosto, le elezioni vengono posticipate al 15 dicembre 2024. Iniziano così giorni di manifestazioni, che portano a quattro morti, decine di feriti e centinaia di arresti, anche di leader politici. Nello stesso periodo viene limitato il segnale internet e alcuni canali televisivi vengono sospesi. La diplomazia internazionale chiede di moderare l’uso della forza, rispettare i diritti umani e mantenere le elezioni alla data prevista.

Giovedì 15 febbraio arriva la sentenza: la Corte Costituzionale dichiara che la legge che rinviava le elezioni presidenziali è “contraria alla Costituzione” e di fatto “estende il mandato del Presidente della Repubblica oltre i cinque anni”. Invita quindi “le autorità competenti [a organizzare le elezioni] il prima possibile”.Il giorno successivo, con un comunicato, Sall fa sapere di voler “pienamente attuare la decisione del Consiglio”, organizzando l’elezione “il più presto possibile”.

L’opposizione chiede allora di trovare una data prima della fine del mandato di Sall, previsto per il 2 aprile. Nel frattempo, la Corte ripubblica la lista dei candidati, che da 20 sono passati a 19, in seguito alla rinuncia di Rose Wardini, accusata anche lei di avere doppia cittadinanza. Tra i candidati rimasti, oltre al Primo Ministro Amadou Ba, ci sono anche Mohammed Boun Abdallah Dionne, ex Primo Ministro; Aly Ngouille Ndiaye, ex Ministro dell’Agricoltura; Mame Boye Diao, ex dirigente pubblico; IdrissaSeck, ex Primo Ministro con Wade, poi per un breve periodo nella maggioranza Sall; Khalifa Sall, ex sindaco di Dakar, condannato a cinque anni di prigione; Anta Babacar Ngom, unica donna, proveniente dal mondo degli affari. Nella nuova lista manca sempre il nome di Karim Wade. Per questo motivo il Fronte democratico per un’elezione inclusiva (FDPEI) chiede di ripartire da zero con il processo elettorale. La maggioranza dei candidati, riuniti nel Fronte dei candidati all’elezione presidenziale del 25 febbraio (FC25), denuncia però che si tratta di un altro modo per posticipare l’elezione e mantenere al potere Sall oltre i limiti costituzionali.

In seguito alla conferenza stampa del 22 febbraio, Macky Sall sembra invece voler mantenere l’immagine di democratico e statista, sulla scia di quando aveva rinunciato al terzo mandato nel luglio 2023. Secondo molti osservatori, Sall starebbe cercando di uscire a testa alta, pacificando il paese; ha anche affermato la sua disponibilità a liberare Ousmane Sonko e il candidato BassirouDiomaye Faye. Alla fine dei due giorni di dialogo nazionale, il 27 febbraio Macky Sall ha infatti proposto una legge di amnistia, trovando però l’opposizione di parte della politica senegalese. Durante le consultazioni, i gruppi di lavoro hanno consigliato di effettuare le elezioni il 2 giugno e hanno suggerito di applicare l’articolo 36 della Costituzione che permetterebbe a Sall di restare in funzione fino all’insediamento del suo successore. Inoltre, è stato proposto di rivalutare i dossier di candidatura scartati, permettendo così l’eventuale reintegro di Karim Wade. Le proposte dovranno essere però accettate dal Presidente della Repubblica dopo la validazione del Consiglio Costituzionale.

Resta al momento una sola grande incognita: la quasi totalità dei candidati dell’opposizione si è rifiutata di partecipare al dialogo nazionale, accusando Macky Sall di “messa in scena” e chiedendo al Consiglio Costituzionale di scegliere una nuova data per le elezioni. Secondo parte dell’opposizione inoltre, Sall dovrebbe lasciare il potere alla fine del mandato, ma questo significherebbe andare al voto entro inizio marzo, con troppo poco preavviso per poter organizzare l’elezione. Il rischio è quindi quello che il paese possa infuocarsi nuovamente quando il 2 aprile Macky Sall probabilmente sarà ancora al potere, e i senegalesi scenderanno in strada al grido di “Macky Sall dittatore”.

*Gabriele Druetta, classe 1999, ha vissuto e lavorato a Dakar (Senegal), collabora con alcune testate tra cui La Stampa ed è membro di diverse associazioni e organizzazioni.

Foto copertina di Gabriele Druetta

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