La Libia è un posto molto pericoloso. C’è un sacco di gente armata. Le persone vengono uccise e i rapimenti sono frequenti. Arrivate a Tripoli siamo state chiuse in una casa con altre 600-700 persone. Non avevamo acqua per lavarci, avevamo pochissimo cibo ed eravamo costretti a dormire gli uni sopra gli altri. È stato molto difficile per mia figlia, è stata male tante volte. C’era molta violenza. Sono stata picchiata a mani nude, coi bastoni e colpita con armi da fuoco. Se ti muovi ti picchiano. Se parli ti picchiano. Abbiamo trascorso mesi così, picchiate ogni giorno.
Medici senza frontiere apre con la testimonianza di una donna eritrea il rapporto “Trapped in transit“, che denuncia le condizioni vissute da migranti e rifugiati in transito in Libia, risultato delle interviste condotte con le migliaia di richiedenti asilo soccorsi nel Mediterraneo centrale. Centinaia di loro sono stati vittime di questa allarmante e incontrollata violenza diffusa nella Libia attuale; gli altri vi hanno assistito: detenzione in condizioni disumane, tortura, pestaggi, violenze sessuali, sfruttamento economico e lavoro forzato sono perpetrati quotidianamente su donne, uomini e bambini dai gruppi armati, dai trafficanti e da quegli individui che traggono profitto dalla presenza dei migranti in transito.
«Hanno preso tutte le nostre cose. Tutti hanno un’arma da fuoco in Libia, anche i bambini. Ho trascorso tre mesi e mezzo lì, in due case diverse. Un giorno una ragazza è morta di fronte a noi. Era malata, senza cibo né acqua. Se vai in ospedale ti rapiscono. Una mia amica è ancora in prigione, è lì da 7 mesi», racconta a Msf una ventiseienne camerunese.
Persone detenute a Garbugli, Libia (marzo 2016). Foto tratta da “Trapped in transit”, ©Ricardo Garcia Vilanova.
I rapimenti sono un modo comune di estorcere soldi alle famiglie o agli amici ancora nei paesi di origine; le persone sequestrate vengono picchiate e talvolta torturate, così come possono essere vittime di abusi sessuali.
Sono vittime dello stesso trattamento anche coloro che vengono rinchiusi nei centri di detenzione; case, magazzini o altro tipo di strutture dove le milizie trattengono per mesi gran parte dei migranti e rifugiati in transito, fino al momento in cui non ottengono il denaro necessario a riscattare la propria liberazione. Circa il 50% degli intervistati da Medici senza frontiere a bordo delle navi di ricerca e soccorso vi era stato detenuto. Durante la permanenza forzata in queste strutture molti sono sfruttati: gli uomini costretti a lavorare nei cantieri o nelle fattorie, le donne come aiutanti domestiche o obbligate alla prostituzione.
Sembra non esserci scampo alla detenzione per chi attraversa la Libia.
Le cicatrici di uomo che durante la permanenza a Tripoli è stato rapito e torturato. Foto tratta da “Trapped in transit”, ©Christophe Stramba-Badiali.
Un servizio di Al Jazeera English realizzato nel 2015 mostrava la disperazione delle persone soccorse dalla guardia costiera libica, consapevoli di essere ricondotte nello stato nordafricano: grida e pianti di coloro che, ormai a un passo dall’Europa, vedevano svanire la loro speranza di essersi lasciati alle spalle la Libia.
«Qualcuno viene per la tosse e leva la maglietta. E tu vedi tutte le cicatrici delle torture patite e realizzi che ha delle ossa rotte, e ti racconta orribili storie. Ho visto almeno 32 pazienti con ferite chiaramente dovute alle violenze subite negli ultimi 12 salvataggi», racconta il dottor Erna Rijnierse, di Medici senza frontiere, a bordo della nave Aquarius.
Ferite infette da machete, timpani perforati, cicatrici da fustigazione, arti frantumati: sono alcune delle situazioni incontrate dall’organizzazione negli ultimi mesi. A cui si aggiungono le ferite non visibili: l’82% dei pazienti trattati in Sicilia da Medici senza frontiere avevano vissuto eventi traumatici durante il viaggio, spesso in Libia. Il 42% di loro soffriva di disturbo post traumatico da stress e il 27% era affetto da disordini dovuti all’ansia.
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