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Islam, smarrire il vero significato delle parole e confondere pericolosamente le idee

«Di cosa parliamo quando parliamo di islam? Diamo nomi alla paura con il rischio di dover poi fare realmente i conti con quei nomi». Troviamo oggi su La Stampa una riflessione di Francesca Paci, che prosegue il discorso iniziato sul sito dell’Associazione Carta di Roma attraverso un “glossario” per evitare che la confusione intorno alla terminologia relativa al mondo islamico creasse ulteriore allarmismo e fornisse informazioni scorrette ai lettori.

«C’è stato un tempo in cui l’autocensura avrebbe impedito ai più di descrivere un immigrato come “islamico” (a meno che non fosse necessario) per non accostarlo a Bin Laden – riflette l’autrice dell’articolo – Il sangue di Charlie Hebdo pare aver decretato il “liberi tutti”: oggi è quasi normale definire un gruppo terrorista “islamico” laddove l’aggettivo islamico è neutro e non ha connotati violenti (ragion per cui non offende un immigrato fedele del Profeta). Sarebbe più corretto parlare invece di terroristi “jihadisti” (dediti al jihad), perché il termine “islamista” indica chi fa un uso politico dell’islam ma non necessariamente col kalashnikov in mano (quello del presidente turco Erdogan può dirsi un partito islamista così come il movimento dei Fratelli musulmani)».

«Il linguaggio è lo specchio di una società – prosegue la giornalista – e quella europea sembra reagire alla minaccia terroristica in modo assai più scomposto dell’America post 11 settembre 2001. Basti pensare al dibattito precedente all’approvazione del Patriot Act da parte di George W. Bush e alla facilità con cui il Vecchio continente s’è messo a discutere di sospensione di Schengen, arresto di presunti terroristi, visti premio per gli insider che collaborano. Basti pensare ai rarissimi incidenti etnici seguiti negli Stati Uniti alle Torri Gemelle e ai 100 attacchi alle moschee francesi nei 2 giorni dopo CharlieHebdo (l’estrema correttezza politica porta però i media Usa all’eccesso di tenersi lontanissimi dalle vignette su Maometto)».

È interessante, a tal proposito, un articolo uscito stamattina su Repubblica che fa il punto su quanto l’attacco a Charlie Hebdo abbia influenzato il sentimento di paura nei confronti dei migranti provato dagli italiani. Secondo dati Demos, scrivono gli autori Roberto Biorcio e Fabio Bordignon, «la paura dello straniero, in Italia, è solo lievemente aumentata». Pare rassicurante il fatto che finora sembra non esserci stata «l’ondata di panico e mobilitazione anti-islamica che gli “imprenditori politici della paura” auspicavano». I giornalisti osservano, infatti, che negli ultimi anni il sentimento di insicurezza legata all’immigrazione ha raggiunto picchi in corrispondenza degli appuntamenti elettorali, «alimentato dal circuito politico-mediatico». L’allarme è comunque elevato in alcune non trascurabili fasce della popolazione italiana: le persone poco istruite, gli anziani e i pensionati sembrano essere più colpiti dal senso di insicurezza generato dalla presenza di migranti.

Per leggere i due articoli:

«Di cosa parliamo quando parliamo di islam»

«Un terzo teme gli stranieri, il picco è tra gli anziani»

 

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