Un articolo di Europa Today
L’intenzione della Danimarca di espellere i rifugiati siriani, ritenendo ormai la Siria un Paese sicuro, “creerà un pericoloso precedente” per tutti i richiedenti asilo anche di altre nazioni. Per questo un’associazione ha deciso di portare il governo di Copenaghen alla Corte europea dei diritti umani (Cedu). La premier socialdemocratica Mette Frederiksen ha deciso da tempo di abbracciare la linea dura sull’immigrazione, e ha promesso di arrivare a “zero” richiedenti asilo ammessi nella nazione. La stretta ha colpito anche le migliaia di persone provenienti dal Paese governato da Bashar al-Assad, con il governo che sostiene che nella regione, dilaniata da una tremenda guerra civile iniziata nel 2011, la situazione sia “migliorata in modo significativo”.
Come racconta il Guardian, il gruppo Guernica 37, che ha sede a Londra e che fornisce assistenza pro-bono e a prezzi accessibili nei casi di giustizia transnazionale e diritti umani, sta lavorando con avvocati in materia di asilo e famiglie colpite in Danimarca per lanciare una sfida alla politica del governo in base al principio della convenzione di Ginevra di “non respingimento”, visto che né l’Onu né altri Paesi considerano Damasco sicura. “La situazione è profondamente preoccupante. Mentre il rischio di violenza diretta correlata al conflitto potrebbe essere diminuito in alcune parti della Siria, il rischio di violenza politica rimane più alto che mai e i rifugiati di ritorno dall’Europa sono presi di mira dalle forze di sicurezza del regime”, si legge in una nota di Guernica 37. “Se gli sforzi del governo danese per rimpatriare forzatamente i rifugiati in Siria avranno successo, si creerà un pericoloso precedente, che è probabile che molti altri Stati europei seguiranno”.
Uno dei maggiori problemi della decisione di Copenaghen è che poiché le autorità danesi riconoscono che gli uomini corrono il rischio di essere arruolati nell’esercito o puniti per aver evaso la coscrizione, la maggior parte delle persone dai decreti di espulsione sembrano essere donne e anziani, molti dei quali rischiano di essere separati dalle loro famiglie. Ghalia, una 27enne che si è riunita con i suoi genitori e fratelli quando è arrivata in Danimarca nel 2015, ha avuto il permesso di soggiorno revocato a marzo. È l’unico membro della sua famiglia ad essere colpito. “Ho paura all’idea di entrare da sola nel centro per immigrati, lì non puoi lavorare, non puoi studiare. È come una prigione”, ha detto aggiungendo anche di non poter “tornare in Siria”, perché “se torno verrò arrestata”.
Il tempo per bloccare le espulsioni stringe e Carl Buckley, l’avvocato che guida la causa, sa che quello della Cedu è un “sistema lento”, per questo ha annunciato che farà domanda per avere subito “misure provvisorie, che implicherebbero l’ordine alla Danimarca di smettere di revocare le residenze fino a quando non sarà stata presa in considerazione dal tribunale di Strasburgo la denuncia di merito”. In Danimarca vivono 5,8 milioni di persone, di cui circa 500mila nati all’estero e 35mila sono siriani. Negli ultimi anni, tuttavia, la reputazione di tolleranza e apertura del Paese scandinavo è stata influenzata dall’ascesa del partito popolare danese di estrema destra che ha condizionato anche le politiche del centro sinistra.
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