Dice bene Carlo Maria Miele che scrive «“Bimbo rapito dai rom”. Se una leggenda vale più di una smentita della Questura», in un articolo all’interno del quale ripercorre le modalità con cui è stata diffusa una notizia negli ultimi giorni, raggiungendo migliaia di utenti sul web.
Il 18 novembre il quotidiano Il Messaggero, dalle sue pagine online, dà questa notizia: «Roma, tentano di rapire un bimbo: rom bloccati durante la fuga». La storia raccontata è questa: sabato 15 novembre nel quartiere romano di Tor Tre Teste una donna vede un uomo allontanarsi col suo bambino di otto mesi; lei urla di lei mettono in fuga il presunto rapitore che lascia il bambino, minacciando prima la madre. Grazie alla descrizione puntuale del furgone dell’uomo, la polizia riesce subito ad arrestare il colpevole del tentato rapimento insieme a una seconda persona.
Il Messaggero si affida completamente alla versione della donna, la quale – stando ai virgolettati riportati dal quotidiano – descrive l’uomo che ha provato a portarle via il bambino come uno sconosciuto.
Nessuna ulteriore verifica, nessun dubbio, i toni usati dalla testata sembrano dare per scontato che la vicenda si sia svolta proprio così; d’altra parte questa versione dei fatti corrisponde perfettamente alla leggenda metropolitana secondo la quale i rom rapiscono i bambini, quindi perché mai prenderne le distanze e procedere con attenzione e scrupolo prima di tirare le somme, come si farebbe in qualsiasi altro caso? La notizia, in effetti, piace così: viene condivisa direttamente dal sito del Messaggero 37mila volte su Facebook e 194 su Twitter e sono numerosi le testate e i blog che la riprendono.
Il 18 novembre interviene la Questura di Roma a far chiarezza con una nota diffusa attraverso gli stessi social network: «Nella serata di sabato le pattuglie del Reparto Volanti sono intervenute in via di Tor Tre Teste a seguito della segnalazione di una donna che ha denunciato il tentativo di rapimento del proprio figlio di pochi mesi. L’uomo responsabile del gesto e la madre del piccolo si conoscono da tempo, avendo coabitato in uno stabile occupato per diverso tempo. Tra le ipotesi investigative emerse, pertanto, vi è anche quella che il tutto sia avvenuto in quanto l’uomo ritiene di poter vantare diritti di paternità sul neonato. Gli agenti, giunti sul posto a seguito della segnalazione ricevuta, hanno appreso le descrizioni dei due, un uomo ed una donna, che poco prima si erano allontanati dal cortile della proprietà dove l’uomo aveva avvicinato il piccolo approfittando dell’assenza momentanea della madre e aveva cercato di slacciare la cintura del passeggino afferrandolo poi per un piede. La scena era stata però notata dal figlio più grande della donna che l’aveva avvisata. Scesa in strada con il suo compagno ne era nata una lite con l’uomo, al termine della quale quest’ultimo si era allontanato minacciando però di ripresentarsi. Subito sono scattate le ricerche dei due, allontanatisi a bordo di un furgone, che sono stati poi rintracciati nei pressi di un campo nomadi della Capitale e condotti negli uffici del Commissariato Prenestino. Al termine, per entrambi è scattato l’arresto».
Quale che sia l’esito delle indagini, ancora in corso, risulta evidente dal comunicato della Questura che non si tratta del semplice tentativo di rapimento di un bambino, ma di una vicenda ben più complessa. Il mito dei rom rapitori di bambini, per l’ennesima volta, è sfatato.
Il Messaggero a questo punto si limita a pubblicare online un nuovo pezzo: «Roma, giallo sul tentato rapimento di Tor Tre Teste. L’arrestato rivendica la paternità». Nell’articolo si afferma che «gira un’indiscrezione sulla quale sta lavorando la Questura» e si inseriscono quindi i nuovi elementi. Dopo aver introdotto questa “indiscrezione” – la quale, poiché diffusa in una nota ufficiale della Questura, ha ben poco a che fare con una indiscrezione – si chiarisce poi che «la donna che ha subito il tentativo di sequestro del neonato è di origini zingare ma dall’età di 12 anni ha cambiato percorso di vita lasciando il campo. Da anni è sposata e ha la cittadinanza italiana. Lei e il marito sono incensurati e sempre secondo la polizia, il loro stile di vita è normale: il marito è un onesto lavoratore e la moglie bada ai figli». Infine l’autore conclude ribadendo che si è trattato a tutti gli effetti, dal punto di vista legale, di un tentato sequestro.
Questo articolo, che fa maggior luce sulla vicenda, senza tuttavia rettificare il precedente, viene condiviso 368 volte su Facebook e 7 su Twitter; cifre ben inferiori rispetto a quelle registrate dal pezzo precedente, che continua a essere online nella sua versione originale.
Un episodio con alcuni elementi in comune era già accaduto pochi mesi fa, quando a Borgaro Torinese un padre aveva inventato il tentato rapimento del figlio indicando come colpevole uno “slavo”, poi trasformato in “zingaro”; anche quella volta la forza della leggenda aveva avuto la meglio sulla professionalità e i media avevano ripetuto la notizia senza alcuna ulteriore verifica, fino alla smentita delle forze dell’ordine (l’approfondimento qui).
L’ultimo episodio dimostra ancora una volta quanto gli stereotipi influenzino il modo di procedere dei media, che lasciandosi guidare da essi talvolta giungono a conclusioni affrettate dimenticando completamente il significato di professionalità e deontologia. Le reazioni d’odio generate da queste false notizie sono, tuttavia, reali e dovrebbero richiamare ulteriormente i media ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti di chi legge.
Vogliamo, infine, ricordare, ai colleghi e ai lettori che dati interessanti sulla leggenda dei rom rapitori di bambini sono stati pubblicati nel 2008 con la ricerca «La zingara rapitrice», a cura di Sabrina Tosi Cambini, commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università degli Studi di Verona. Lo studio ha analizzato circa 30 notizie Ansa, tra il 1985 e il 2007, che facevano riferimento a presunti rapimenti di minori da parte di rom. La ricerca ha verificato l’evoluzione dei fatti in termini penali: nessuno di questi casi si era concluso con l’incriminazione di una persona rom.
Inoltre, ricordiamo che non c’è nulla di straordinario in una persona di origini rom che conduce una vita “normale”: la popolazione rom in Italia (che corrisponde al solo 0,25-0,28% del totale) è per metà italiana; i 4/5 (almeno 130 mila persone) sono perfettamente integrati, svolgono una regolare vita lavorativa e sociale e vivono in abitazioni convenzionali (in molti casi, purtroppo, preferiscono non rivelare le proprie origini, a causa del pregiudizio e della discriminazione diffusi).
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