Perché è importante rifiutarsi di usare le parole come pietre
di Giuseppe Giulietti, Presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana
Ieri siamo stati alla risiera di San Sabba, a Trieste, domani andremo al Ghetto di Venezia, luoghi di deportazioni e di memoria sempre viva.
Lo faremo non solo perché il 27 gennaio è la giornata dedicata al ricordo della Shoa, ma anche e soprattutto per ribadire che, mai come quest’anno, la memoria riguarda il nostro presente e nessuno può pensare che si tratti di “Affari degli ebrei”.
La federazione della stampa e articolo 21, da tempo, hanno fatto la loro scelta e stanno dalla parte di chi “Onora” la Costituzione, antifascista e antirazzista,
A qualcuno tale scelta non è piaciuta: se ne facciano una ragione perché si tratta di una svelta irreversibile e non contrattabile.
Non casualmente il nazifascismo, al pari di ogni regime autoritario o totalitario, ha cominciato il suo tragico percorso bastonando gli oppositori, bruciano le sedi dei partiti, dei sindacati, dei giornali non allineati, imbavagliando differenze e diversità, sino agli orrori delle leggi razziali, sino alla risiera di Sabba, sino all’orrore di italiani che vendono italiani e li accompagnano verso i campi di concentramento, anticamera della “Soluzione finale”
Questi sono giorni che hanno ascoltato voci antiche di odio e di razzismo, insulti verso Liliana Segre, tentativi di equiparare la sua storia a quella di chi, come Giorgio Almirante, ha sottoscritto ed esaltato le leggi razziali.
Per non parlare di quella scritta “Giudeo”riapparsa sul portone di Mondovì,
Per citare solo gli episodi più recenti.
L’antisemitismo, come sempre, è accompagnato da gesti ostili verso tutte le minoranze, verso le diversità, verso ogni differenza, percepita come una presenza ostile che minaccia una presunta identità nazionale e razziale.
Non manca chi soffia sul fuoco, pensando di conquistare facili consensi, deviando la rabbia e il malessere sociale verso le minoranze indicate come la causa del loro disagio, realizzando così un mostruoso ribaltamento delle responsabilità.
Spetta anche a ciascuno di noi impedire che “Quello che è accaduto possa accadere di nuovo” e rifiutarsi di usare le parole come pietre da scagliare contro il nemico di turno.
Il 27 gennaio deve essere l’occasione per ribadire questa scelta, per abbattere i muri del razzismo e dell’antisemitismo e realizzare, invece, i ponti del dialogo, della reciproca conoscenza, dell’inclusione e dell’accoglienza.
Dal 28 febbraio al primo marzo, a Roma, credenti e non credenti si incontreranno per firmare insieme la prima “Dichiarazione di fratellanza mediatica” e per costruire una grande alleanza tra quanti non intendono rassegnarsi ad attendere la “terza guerra mondiale a pezzi”, per citare Papa Francesco, o a veder ritornare i peggiori mostri del secolo scorso.
Se non ora quando?