Di Ahmad Ejaz
Il giorno di Pasqua in un giardino pubblico nei pressi di Lahore, in Pakistan, un ragazzo deviato di ideologia estremista si fa esplodere uccidendo più di settanta persone e ferendone trecento, tra cui numerosissimi bambini. Un gruppo di talebani pakistani Jamat-ul-Ehrar rivendica l’attentato terroristico, precisando nel messaggio che le vittime sono di fede cristiana.
Mia sorella, Firdous Khalid, che vive a un kilometro dal giardino, ha sentito il boato. I vetri di casa tremavano. Non ha avuto alcun dubbio, ha capito subito che il rumore veniva dal mercato di Moon Market e dal giardino di Gulshan Iqbal.
La strage di Lahore non è semplicemente una strage di cristiani. È evidente che i talebani hanno scelto questa dichiarazione per dare maggior risonanza alla notizia in un mondo mediatico globalizzato ormai assuefatto alle stragi di conflitti lontani. Se l’obiettivo fosse stato quello di colpire la locale comunità cristiana avrebbero scelto una chiesa, come hanno fatto sempre nel passato. Hanno scelto questo giardino, perché a quell’ora ci sarebbero stati sia musulmani che cristiani, un target nuovo e facile.
Fra le vittime ci sono 58 musulmani e 14 cristiani – sicuramente a quell’ora erano presenti più cristiani del solito.
Mentre va avanti l’emergenza che ha dato avvio a una corsa alla solidarietà che vede i musulmani donare il sangue negli ospedali per tutti i feriti, anche cristiani, l’esercito nazionale affronta i talebani.
I talebani cercano di rispondere – come d’abitudine non sul campo – all’esercito pakistano che sta svolgendo un’operazione militare “Zarab Azab” per demolire una roccaforte talebana nel Waziristan (nel nord del Pakistan), con l’ispezione di trentamila madrasse in tutto il Pakistan e l’arresto dei capi delle associazioni terroristiche come Lashkar tayyaba e Sippah Sahaba.
Il Pakistan è abitato da 190 milioni di abitanti, il 97% dei quali musulmani e il restante 3% composto da hindu, cristiani, sikh e parsi.
Fiaccolata in memoria delle vittime di uno degli attentati avvenuti in Pakistan negli ultimi anni, tra i più noti a livello internazionale. Nel dicembre 2014 sette uomini armati affiliati ai Tehrik-i-Taliban entrano in una scuola di Peshawar uccidendo 141 persone. 132 delle vittime avevano tra gli 8 e i 18 anni.
L’85% dei musulmani sono sunniti e il 15% sono sciti. Il Pakistan è inserito in un contesto regionale molto instabile politicamente, scosso da decennali conflitti come quello in Kashmir o in Afganistan e dalla presenza di regimi autoritari come quelli in Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Iran. Confina inoltre con l’India, potenza nucleare con la quale ha più questioni in sospeso. In questo quadro l’esercito pakistano ha assunto un ruolo predominante tra i poteri istituzionali.
Nel mondo ci sono più di 54 paesi islamici, ma il Pakistan è l’unico a possedere la bomba atomica.
Gli attacchi suicidi hanno causato miglia di morti in Pakistan, dove, dopo l’11 settembre 2001 sono morti tragicamente più di tre mila soldati e addirittura più di cinquantamila civili.
Un elemento importante per comprendere meglio il contesto in cui è stato realizzato l’attentato è che il governo pakistano nel mese di febbraio ha giustiziato Mumtaz Qadri.
Qadri era l’autista del governatore Salman Taseer della provincia del Punjab. Nel 2011 Salman Taseer aveva incontrato una donna cristiana, Asia Bibi, messa in carcere perché accusata di blasfemia. Salman Taseer considerava Asia Bibi innocente e riteneva che quella normativa discriminasse i cittadini meno abbienti, considerandola una legge “Kala Qanoon” (legge nera). Taseer aveva fatto della questione un suo cavallo di battaglia. Per questo motivo, presumibilmente, è stato ucciso a colpi di fucile da Qadri.
La questione dell’assassinio di Salman Taseer ha scosso violentemente il paese dividendo l’opinione pubblica: i musulmani radicali sunniti manifestavano a favore del gesto di Qadri che avrebbe così difeso la sharia, mentre altre dimostrazioni della società civile chiedevano giustizia per il governatore. I radicali hanno fatto rapire il figlio del governatore, liberato solo poco tempo fa, dopo cinque anni.
Qadri è stato dichiarato colpevole e condannato a morte per impiccagione. Alcuni imam di origine pakistana in Inghilterra lo considerano come un eroe dell’islam e fino a ieri è andato avanti un sit-in dei radicali a Islamabad contro la sentenza di impiccagione.
Entrata in vigore nel 1986 con il governo fondamentalista del Generale Zia-ul- Haq, la legge sulla blasfemia è regolamentata dall’articolo 295c del codice penale e contempla nei casi estremi la condanna a morte. Fino a oggi ci sono stati più di mille casi; tra i condannati seicento musulmani e quattrocento cristiani, qadiani e fedeli di altri culti.
La sua modifica ha alimentato un lungo ed aspro dibattito che purtroppo ha condotto a diversi casi di omicidio, oltre a quello di Taseer. Sempre nel 2011, infatti, è stato assassinato il ministro delle Minoranze Shahbaz Bhatti dai fondamentalisti sunniti che difendono il movimento Nafaz Shariat (che significa “applicazione della sharia”).
Il governo attuale e l’esercito da quasi due anni hanno scelto una linea dura contro gli esponenti dell’islam radicale. Per questo motivo oggi chi presenta un accusa deve portare a dimostrazione delle chiare testimonianze e chi sfrutta la blasfemia per fini personali viene denunciato, processato e condannato. In questo modo i casi di blasfemia negli ultimi due anni sono calati drasticamente.
Gli attentati di Bruxelles, Parigi, Istanbul e Lahore sono tutti collegati perché le forze fondamentaliste sono tra loro collegate. I talebani pakistani sono affiliati al Daesh e ad altri gruppi terroristici.
I morti di questi attentati sono civili di provenienza asiatica ed europea. È sempre più chiaro, però, che di fronte a un nemico comune i vari governi in Europa e nel mondo non sono uniti e non riescono a costruire una politica condivisa.
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