Il 29 giugno scorso giornalisti del quotidiano Il Piccolo sono entrati nel CIE di Gradisca. La struttura detentiva era stata chiusa nel novembre del 2013 dopo l’ultima rivolta e a seguito di un incendio che devastò gran parte dell’edificio. Ora il Centro di Identificazione ed Espulsione è in fase di ristrutturazione e secondo i giornalisti riaprirà nel 2015.
La Tenda per la Pace e Diritti di Gorizia, un’associazione di promozione sociale attiva nella tutela dei diritti che ha seguito da vicino le vicende del CIE pubblica oggi sul sito di Melting Pot un lungo articolo che puntualizza e corregge alcune informazioni contenute nell’articolo de Il Piccolo.
Nell’articolo principale del reportage “Dentro il CIE: la gabbia riapre” si fa infatti riferimento alle persone che erano detenute nella struttura come “persone non identificate, immigrati extracomunitari senza un nome né un cognome, che sul territorio italiano si sono macchiati di crimini anche gravissimi e che hanno scontato la pena in carcere.”
Dopo anni di battaglie condotte dagli stessi giornalisti per entrare nei Centri, che ha visto la FNSI stessa aderire e sostenere la campagna “LasciateCIE entrare”, sembra strano che ancora non si sappia che i CIE sono centri in cui viene praticata la detenzione amministrativa e che i detenuti sono quindi persone il cui unico “reato” è quello di non essere in regola con il permesso di soggiorno. Reato, peraltro, non di natura penale . Inoltre come puntualizza Tenda per la Pace “La presenza di ex detenuti all’interno dei CIE è un’irregolarità che deriva da una mancata applicazione della circolare interministeriale Amato-Mastella del 2007, in cui si stabiliva che l’identificazione dei cittadini senza permesso di soggiorno in stato di detenzione venissero effettuate in carcere e non, come invece continua essere prassi, nei CIE, sottoponendoli quindi ad un’inutile (e costosa per lo Stato) doppia detenzione”
L’associazione contesta al Piccolo anche la lettura fatta degli atti di autolesionismo da parte dei detenuti, episodi drammaticamente frequenti in queste strutture, ridotti a meri espedienti per le fughe riportando le dichiarazioni del responsabile del Dipartimento di Salute Mentale che all’uscita di una delle visite al CIE disse “Non vedevo persone ridotte in questo stato dall’ultima volta in cui sono entrato in un manicomio, è terribile”
La scelta de il Piccolo è quindi senz’altro apprezzabile nel tentativo di riportare l’attenzione su questi “non luoghi” come li definirebbe il sociologo Augé e di denunciarne la possibile riapertura.
Sembra però un’occasione persa per un’opera di informazione davvero completa e corretta e un’occasione persa anche per ricordare la storia di Abdel Majid El Kodra il ragazzo marocchino morto dopo mesi di coma lo scorso 30 aprile, dopo essere caduto dal tetto del CIE proprio nell’estate delle rivolte citate dal giornalista.
Non accodarsi ad una visita istituzionale, ma intervistare solo il Prefetto e i possibili futuri gestori del centro può rivelarsi una scelta altrettanto limitante per affrontare una visita in un CIE.