Di Cospe
Lo scorso 8 agosto COSPE, tramite il proprio legale, l’avvocato Giovanni Izzi del Foro di Pisa, ha depositato presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, una querela per diffamazione indirizzata al settimanale “Panorama”, diretto da Maurizio Belpietro. L’articolo firmato da Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi dal titolo “Il lato oscuro del soccorso islamico” uscito il 17 luglio sulla rivista, è infatti altamente lesivo dell’immagine della nostra associazione. Attraverso dati non verificati e sillogismi forzati, l’articolo accusa sostanzialmente COSPE di finanziare associazioni terroristiche palestinesi con i fondi messi a disposizione dal Ministero degli Esteri attraverso la Agenzia italiana alla cooperazione allo sviluppo (AICS). Non solo questa affermazione è falsa e tesa a screditare il lavoro che da anni facciamo in Palestina insieme a molte altre associazioni italiane e straniere (con il sostegno dell’AICS, della Ue e di altri donatori e istituzioni italiani e internazionali), ma mette a rischio i nostri partner locali e le persone che lavorano con noi. Per questo abbiamo deciso di sporgere querela, per la prima volta nella nostra storia: da sempre infatti, la nostra organizzazione si batte in Italia e nel mondo, compresa la Palestina, per la libertà di espressione e per la difesa dei giornalisti e del loro operato. Ma proprio perché crediamo e sosteniamo il buon giornalismo e la corretta informazione, quella basata sulla veridicità dei fatti e sulla verifica delle fonti oltre che sul rispetto della deontologia professionale, abbiamo ritenuto che fosse arrivato il momento di farci sentire, al di là dei comunicati, dei post e dei proclami, anche per rivendicare con orgoglio la serietà e trasparenza del nostro lavoro che con passione svolgiamo da anni. “Non possiamo più permettere – afferma Giorgio Menchini, presidente di COSPE – che si continui a gettare fango sulle ONG e, che si coinvolgano in modo irresponsabile anche i nostri partner e gli attivisti in Italia e all’estero che, come nel caso della Palestina, lavorano in situazioni pericolose e complesse. Per questo abbiamo messo a disposizione degli inquirenti, tutti i documenti formali che provano quanto di falso ci sia – tanto nell’assunto dell’articolo che nelle informazioni sulla nostra organizzazione in esso contenuto – come abbiamo sempre fatto e come avremmo fatto anche nel caso dei giornalisti di Panorama – se ce l’avessero chiesto”.
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