Di Alessandra Fabbretti su Agenzia DiRE
Da qualche giorno in Polonia, lungo il confine occidentale verso la Bielorussia, sono spuntate piccole luci verdi visibili soprattutto di notte: è un messaggio in codice, un invito rivolto ai migranti e richiedenti asilo ad avvicinarsi e chiedere aiuto. Chi ha acceso quella luce è pronto a dar loro da mangiare e un rifugio caldo e sicuro nonostante rischi multe o denunce per favoreggiamento dell’immigrazione illegale. C’è anche una promessa: chi apre la porta non chiamerà la polizia che, come precisa la legge sullo stato d’emergenza, consente ai militari polacchi di respingere i profughi nei boschi, anche di notte, verso il confine bielorusso. A lanciare l’idea delle ‘Green light’ è stato Kamyl Syller, un avvocato specializzato in questioni migratorie.
L’agenzia Dire lo contattata telefonicamente nel suo ufficio, in una località a circa 5 chilometri dal confine. “L’idea della ‘Green Light’ mi è venuta qualche giorno fa, dopo aver raggiunto tre rifugiati siriani, un uomo, una donna e una bambina di due anni. Erano stremati e secondo i medici di lì a poche ore la donna avrebbe subito un arresto cardiaco. Vagavano da giorni nei boschi, come stanno facendo decine di altri migranti a cui le guardie di frontiera impediscono di entrare e presentare richiesta d’asilo”.
Il problema, continua l’avvocato, è che “chiamano noi volontari ma non chiedono aiuto ai residenti per paura di essere rimandati indietro. Salvando quei tre siriani, di colpo ho realizzato che arrivati a un certo punto queste persone smettono di camminare, si arrendono. Aspettano di essere salvate, oppure di morire, non lo so”.
Syller continua: “So che una volta trovate, alcune persone scoppiano a piangere, si gettano ai piedi di chi hanno di fronte e gli baciano le scarpe. Sono immagini scioccanti a cui per fortuna non ho ancora assistito. Ma tanti volontari della nostra rete lo hanno raccontato”.
Già sette le morti confermate ufficialmente al confine tra Polonia e Bielorussia da agosto, a causa di un braccio di ferro politico che chiama in causa Varsavia e l’Unione europea da un lato, e il governo di Minsk dall’altro. Ma secondo le associazioni per i diritti umani i morti potrebbero essere molti di più, dato che nei boschi di notte le temperature scendono sotto lo zero. Chi si avventura in questo “limbo” al confine esterno dell’Ue proviene da Iraq, Siria, Yemen, Afghanistan, Iran o Paesi africani. Tra loro anche donne incinte, anziani, bambini e neonati.
Lo scopo di ‘green light’ quindi, spiega Syller, “è far capire ai rifugiati che hanno davanti una casa amichevole, convincendoli a uscire dalla foresta e non morire di fame, disidratazione o freddo”. L’avvocato continua: “Tra i sopravvissuti troviamo anche casi di Covid e brutte ferite a mani, piedi e testa. Questa gente sta scappando da guerre e povertà. Hanno bisogno del nostro sostegno. Per questo abbiamo creato una pagina Facebook con tutte le informazioni in polacco, inglese e arabo, e sta già avendo molto successo”.
Chi ha aderito all’iniziativa “potrebbe rischiare di essere attenzionato dalle autorità e di subire problemi, per questo dobbiamo muoverci con senso di responsabilità”, aggiunge l’avvocato. La legge polacca punisce con multe e persino il carcere chi aiuta i profughi. Più in generale, le comunità di frontiera, dopo la legge sullo stato d’emergenza frontaliero, sottolinea Syller, “hanno subito un calo del turismo, un bel guaio dopo mesi di lockdown. Quotidianamente poi gli automobilisti affrontano perquisizioni e tante domande ai posti di blocco. Ma la polizia dovrebbe occuparsi dei contrabbandieri e dei criminali, non di cittadini che aiutano altre persone a sopravvivere”.
Syller parla poi dell’ampia rete di volontari che si è spontaneamente formata in Polonia per aiutare i migranti: “Dobbiamo restare umani. Ma alcuni di loro già dichiara di avere bisogno di un sostegno psicologico. Non eravamo preparati ad assistere a un dramma di queste proporzioni”.
Ieri a Varsavia e Cracovia sono scese in piazza migliaia di persone per dire al governo di centrodestra “stop alle torture al confine”. Nei giorni scorsi, anche il capo della Conferenza episcopale polacca, monsignor Wojciech Polak, ha lanciato un appello al ministero dell’Interno affinché garantisca ai profughi l’assistenza medica nella zone di frontiera.
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