Emergenza, invasione, frontiere, solidarietà, accoglienza, protezione, e ancora migranti, rifugiati, e “clandestini. Nel corso degli ultimi otto anni sono cambiati gli eventi, le cornici, i toni, il linguaggio e i contesti: sono rimaste alcune parole, altre sono cambiate.
Con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, abbiamo esplorato il lessico della migrazione per ciascun anno dal 2013 al 2020: una parola all’anno per 8 anni.
A percorrerle tutte, si osserva un cambiamento del racconto della migrazione, che è anche una trasformazione dello sguardo nei confronti del fenomeno. Nel 2013 la parola simbolo era “Lampedusa”, teatro di naufragi e di accoglienza; a cui seguiva, nel 2014, “Mare nostrum”, l’operazione di salvataggio in mare dei migranti nel Canale di Sicilia e nel 2015, all’indomani della morte del piccolo Alan Kurdi, “Europa”, come risposta europea agli arrivi di migranti e rifugiati. Nel 2016, la cornice in cui si racconta la migrazione, inizia a cambiare: sono i “muri”, la parola simbolo e nel 2017 sono le Ong, verso cui si orientano sospetti e accuse di “svolgere le operazioni di ricerca e di soccorso in mare a scopo di business”. Nel 2018 la parola simbolo è Salvini, l’anno successivo è Salvini, affiancato da Carola: la migrazione è ormai un tema di confronto (e scontro) politico.
La parola simbolo del 2022 è “virus”, in una cornice di allarme sanitario che associa la presenza di migranti a possibili contagi. Continuano a essere presenti alcune delle parole che hanno contraddistinto questi ultimi anni di racconto della migrazione: emergenza, invasione, sbarchi, ghetti, confini. Nello stesso tempo, però, la diffusione della pandemia ha “sospeso” alcune delle cornici e delle parole discriminanti, espressione di un giornalismo di propaganda che poco o nulla ha a fare con l’accuratezza e la correttezza dell’informazione. Pertanto, il 2020 ci lasciava con le parole della “cittadinanza”, della “protezione” e della “regolarizzazione”.
Paola Barretta
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