Pubblichiamo l’editoriale del presidente dell’Associazione Carta di Roma che apre la prima pagina de l’Unità diretta da Sergio Staino.
Il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, è uno stronzo. E anche se, per questa affermazione ingiuriosa, un giudice dovesse condannarmi, mi sentirei in obbligo di ripeterla. Non perché abbia in odio Salvini, ma per difendere l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di manifestazione del pensiero: “Perché solo in un REGIME processano le parole”.
L’ultima frase non è mia, ma di Matteo Salvini. E, in un certo senso, è suo anche l’incipit di questo articolo. Non ho fatto altro che sostituire la parola “Salvini” alle parole “richiedenti asilo” e la parola “stronzo” alla parola “clandestino”. Il risultato è il disgustoso capoverso che avete appena letto. Di cui già mi vergogno. Mentre Salvini, ed è questo il punto, no. Al contrario: sulla sua pagina Facebook ha annunciato che, a dispetto di qualunque decisione della magistratura, continuerà a usare la parola “clandestino”. E, per non lasciare spazio a equivoci, l’ha scritta undici volte di seguito. Proprio come i bambini che ripetono “cacca, cacca”.
A scatenare cotanta furia coprofaga, un’ordinanza della prima sezione civile del tribunale di Milano che ha condannato la Lega a pagare 10mila euro di danni per avere, nell’aprile dello scorso anno, tappezzato le strade di Saronno di manifesti che definivano “clandestini” 32 richiedenti asilo che avrebbero dovuto trovare ospitalità in una struttura della città. Il giudice – accogliendo le tesi dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – ha stabilito che non si possono definire così delle “persone che, esercitando un diritto fondamentale, hanno chiesto allo Stato italiano di riconoscere loro la protezione internazionale”.
È la stessa ragione per cui la Carta di Roma – il codice deontologico che i giornalisti italiani devono seguire quando si occupano di immigrati e richiedenti asilo – stabilisce che quel termine non va utilizzato. Non per “buonismo”. Semplicemente perché è un termine giuridicamente scorretto. Chiamare “clandestini” i richiedenti asilo è come chiamare “ladri” i clienti di un supermercato che ancora non sono passati alla cassa. È un termine improprio anche per quanti non vengono poi riconosciuti meritevoli del diritto d’asilo. “Clandestino” significa “nascosto al sole” e, come tutti possiamo facilmente constatare, “gli immigrati, anche quelli non regolari, non si nascondono al sole. Al contrario, spesso lavorano sotto il sole, dall’alba al tramonto, nei campi e nei cantieri”.
È quanto poche settimane fa abbiamo scritto in un appello (firmato da Ermanno Olmi, Luigi Manconi, Nicola Lagioia, Alessandro Bergonzoni , Beppe Giulietti e condiviso dalla presidente della Camera, Laura Boldrini) nel quale chiedevamo che quella parola fosse cancellata dal testo dell’intesa tra Italia e Libia sul contrasto del traffico di esseri umani dove compare più volte come sinonimo di “migrante illegale”. D’altra parte, fino a qualche anno fa, era un termine di uso comune. Non se ne avvertiva il significato denigratorio e ancor oggi spesso viene utilizzato senza intenzioni malevole. Poi, quando spieghi come stanno le cose, viene corretto. Con un po’ di imbarazzo. Come succede sempre quando, in buona fede, si usa una parola sbagliata.
Salvini invece no. Ne rivendica l’uso. Dichiara pubblicamente che l’insulto razzista è per lui uno strumento essenziale e irrinunciabile; confessa che la diffusione dell’odio e l’avvelenamento delle basi della convivenza civile sono il concime dove far fiorire la sua organizzazione politica. Chissà perché lo fa. Forse per mimetizzarsi. Alzare i toni. Far perdere lucidità agli avversari. Costringerli a scendere sul suo terreno. Magari inducendoli a dargli dello stronzo, anziché del fascista.
Giovanni Maria Bellu