L’immigrazione è passata dall’essere un gioco politico fatto di numeri a un coinvolgente dramma
Molto si è parlato del modo in cui la foto di Aylan Kurdi abbia influenzato le testate italiane e il loro modo di parlare di immigrazione. Qual è stato l’impatto della foto all’estero? Quale la reazione dei media? Traduciamo e rilanciamo un articolo dell’Ethical Journalism Network.
Quella foto di un bambino che ha aiutato i media a rimettersi in riga
Per la maggior parte dei media europei e del Nord America questa settimana l’immigrazione è passata dall’essere un gioco politico fatto di numeri a un dramma coinvolgente i cui i titoli sono stati dominati da empatia e compassione.
Le dolorose scene di disperazione nella stazione centrale di Budapest e, più impressionante, l’immagine di Aylan Kurdi, di 3 anni, bambino e rifugiato siriano che giace su una spiaggia turca, ha commosso il giornalismo a livello globale. Questa svolta ha sorpreso molti media: dopo tutto nell’ultimo anno sono state molte le immagini esplicite del dolore di migranti e rifugiati che mettono a rischio la propria vita in pericolosi viaggi.
Alcune testate sono state obbligate a rovesciare il modo in cui trattano la questione rifugiati, precedentemente ostile. Il Sun, principale tabloid quotidiano britannico, ha silenziosamente cancellato la retorica deumanizzante promossa dall’editorialista Katie Hopkins, che in aprile aveva definito i rifugiati vittime del Mediterraneo “scarafaggi” e aveva affermato: “Mostratemi i corpi galleggianti, suonate i violini e mostratemi persone magrissime che sembrano tristi. Non mi interesserà ancora”.
Questa settimana nel Regno Unito e quasi ovunque in Europa e oltre, i media hanno invece dimostrato il loro interesse. Eric Wishart, redattore dell’AFP a Hong Kong ha condiviso una lista di link (che trovate in fondo); giornalisti, media ed educatori possono tutti beneficiare di questa analisi sul modo in cui i media – e i social network – hanno contribuito a plasmare la forma a questa crisi umanitaria, rendendo la sua trattazione più sensibile e più focalizzata sulle persone.
Queste riflessioni mostrano come i giornalisti abbiano bisogno di considerare con attenzione le parole e le immagini usate per raccontare una storia: come, per esempio, sono usati i termini “migrant” o “refugee” o se è lecito consentire ai politici senza scrupoli di avvelenare il dibattito col loro linguaggio e il loro parlare di “sciami”, “saccheggiatori” e “tsunami umani che schiacciano” le comunità stabili.
Il dibattito è stato forte in Francia, dove l’intensa immagine di Aylan Kurdi non è apparsa su molte prime pagine. Si è trattato di scelte editoriali attente e sensibili? Del timore di assecondare il voyerismo? O la stampa ha semplicemente perso il suo contatto con il pubblico, fallendo nel riconosce quanto potente sarebbe stato il messaggio inviato da questa tragica fotografia?
In Germania il Bild Zeitung, l’equivalente tedesco del Sun, ha sorpreso tutti sia a casa che fuori lanciando la campagna “Wir Helfen” (in italiano “noi aiutiamo”) per accogliere i rifugiati e i migranti siriani. Questa iniziativa ha catturato l’immaginario del pubblico ancor prima che avvenisse la morte di Aylan Kurdi. Unisce attivisti, politici e lettori, promuovendo azioni pratiche per l’aiuto delle migliaia di rifugiati in cammino verso la Germania.
In poco tempo questa passione scemerà, ma quanto fatto non sarà cancellato. I media e i giornalisti dovranno focalizzarsi di nuovo sulle statistiche e sulle sfide pratiche, ma questa volta senza consentire all’odio e all’intolleranza di inserirsi nel dibattito pubblico e politico su come trattare migranti e rifugiati, prima come persone e poi come numeri.
Clicca sui titoli per aprire i collegamenti:
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Roundup: Who Used Photos of Dead Syrian Boy
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