Persone detenute a Garbugli, Libia (marzo 2016). Foto tratta da "Trapped in transit", ©Ricardo Garcia Vilanova.
Su A.H.C.S
Eccellenza Sig. Presidente,
Prof. Mario Draghi
certamente non le sfugge quanto sta accadendo a migliaia di profughi/migranti bloccati in Libia. È una situazione che, nell’indifferenza e, anzi, assai spesso con la complicità sostanziale delle politiche europee, si trascina da anni ma che, negli ultimi mesi, ha registrato una ulteriore escalation di violenza, orrore, violazione sistematica dei diritti umani. Basti ricordare alcuni esempi più recenti, a conferma del fatto che – come denunciano da sempre l’Unhcr, l’Oim e tutte le più prestigiose Ong internazionali – la realtà libica è un autentico inferno (nei centri di detenzione lager ma anche fuori) per un numero crescente di giovani, colpevoli soltanto di essere stati costretti ad abbandonare la propria terra per cercare altrove libertà, sicurezza, la sopravvivenza stessa. In una parola, la speranza di una vita migliore e più degna.
Tra il primo e il 4 ottobre, partendo dal sobborgo di Gargaresh ed estendendo poi l’operazione a tutta Tripoli, le forze di polizia libiche hanno arrestato oltre 5 mila persone, donne e uomini, come immigrati clandestini, un’accusa che, per lo Stato libico (che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati), non è una semplice violazione amministrativa ma un grave reato penale, che comporta mesi ed anni di carcere, in condizioni di detenzione che definire invivibili è un eufemismo. E questi arresti di massa – come hanno denunciato diversi servizi giornalistici e i rapporti dell’Unhcr – si sono svolti con metodi non di rado di grave violenza, tanto che si lamenta almeno una vittima: un giovane ucciso a colpi di arma da fuoco mentre cercava di sottrarsi alla cattura.
L’otto di ottobre il personale di guardia nel campo di Ghout Al Shaal, alla periferia di Tripoli, non ha esitato a sparare a raffica, ad altezza d’uomo, per contrastare un tentativo di fuga in massa. Come riferiscono i rapporti dell’Unhcr, ci sono stati almeno 6 morti e circa 25 feriti, di cui alcuni molto gravi.
Dall’inizio dell’anno a oggi la Guardia Costiera di Tripoli ha bloccato in mare – attenzione: “bloccato” e non “soccorso e salvato” – 27.041 profughi/migranti che erano riusciti a fuggire dalla Libia, riportandoli indietro e riconsegnandoli in gran parte alle sofferenze dei centri di detenzione. Altri 7.865 sono stati arrestati a terra, prima dell’imbarco o al confine meridionale e lungo le vie che conducono alla costa. Infine, 353 sono stati riportati in Libia, su indicazione di Tripoli, da navi commerciali che li hanno intercettati e soccorsi in mare. In tutto, ben 35.259 persone alle quali è stato impedito di chiedere aiuto e asilo all’Europa come era loro diritto inviolabile. Un diritto sancito, anzi, ribadito, proprio in questi giorni da una significativa sentenza della Corte Costituzionale che, partendo dalla vicenda di un giovane senegalese per lungo tempo detenuto e seviziato in Libia, ha stabilito in pratica che i migranti passati dalle prigioni libiche vanno tutelati.
Contro tutto questo, venerdì 22 ottobre si è svolta a Roma una manifestazione di protesta organizzata da profughi, migranti e richiedenti asilo di fronte all’ambasciata libica. Ma tutto questo – a parte ovviamente le specifiche responsabilità libiche – è in realtà il risultato diretto delle politiche di chiusura e respingimento costruite con la serie di trattati e accordi stipulati con la Libia in particolare dall’Italia ma con il totale sostegno dell’Unione Europea e, dunque, con precise responsabilità anche di Bruxelles, oltre che di Roma. Mi riferisco, ad esempio, al memorandum Italia-Libia sottoscritto nel febbraio del 2017. O alla conseguente fornitura di fondi, mezzi, navi, addestramento e assistenza alla Guardia Costiera e al Governo di Tripoli. O, ancora, alle “garanzie” italiane per l’istituzione della zona Sar libica, operativa dal giugno 2018 e formalmente riconosciuta nonostante Tripoli non abbia alcuno dei requisiti necessari per gestire, coordinare e condurre operazioni di ricerca e soccorso in mare, tanto da alimentare il sospetto che le direttive e le disposizioni operative siano emanate in realtà dalla Marina italiana e dall’agenzia Frontex.
È quanto mai necessaria, allora, una revisione radicale della politica condotta finora dall’Unione Europea nelle linee generali e dai singoli Stati nello specifico. Perché va benissimo respingere, come è stato fatto, la richiesta di finanziamenti per costruire barriere alla frontiera avanzata da ben 12 Stati UE. Ma – a parte il fatto che in questi anni l’Europa ha già costruito oltre 1.200 chilometri di valli confinari di cemento e filo spinato – i “muri” costituiti da una politica di rigida chiusura sono altrettanto se non addirittura più crudeli e letali di quelli fisici fatti di lame acuminate d’acciaio.
Il primo passo di questo cambiamento non può che essere un monito deciso alla Libia perché ponga fine alle violenze e chiami i responsabili a risponderne in giudizio. E, soprattutto, perché rispetti finalmente i diritti umani fondamentali dei migranti, tanto più che la recente ondata di arresti si profila come la premessa per un rimpatrio forzato di massa, senza considerare che per tantissimi questa decisione significherà la riconsegna alle situazioni di pericolo e crisi estrema da cui sono fuggiti. La soluzione vera e definitiva, tuttavia, è l’abbandono e il superamento della politica di chiusura e respingimento condotta ormai da anni da parte dell’Unione Europea e in modo particolare dell’Italia. Politica che, a partire quanto meno dal Processo di Khartoum (2014) in poi, ha eletto la Libia a “gendarme del Mediterraneo”, con il compito specifico di bloccare i migranti che lanciano il loro grido d’aiuto alla nostra democrazia. Un blocco da attuare ad ogni costo, condotto spesso con violenze e respingimenti collettivi indiscriminati e, comunque, a prescindere dalla sorte che attende le migliaia di disperati confinati al di là del muro della Fortezza Europa. In una parola, in aperto contrasto con il diritto internazionale, con la “legge del mare” e, per quanto riguarda specificamente l’Italia, con la sua stessa Costituzione Repubblicana.
Grazie per l’attenzione che avrà voluto dedicare a queste righe.
Cordiali saluti,
Don Mussie Zerai Dr. Theol. H.C Roma, 22/10/2021
Foto in evidenza di Ricardo Garcia Vilanova
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