L’Associazione nazionale comuni italiani ha da sei mesi un nuovo responsabile Immigrazione. È Matteo Biffoni, sindaco di Prato, città simbolo della trasformazione sociale in senso multiculturale e icona – per molto, troppo tempo – di una convivenza difficile tra cittadini autoctoni e stranieri, cinesi in particolare.
Gli episodi di cronaca nella città di Prato, più o meno gravi, hanno dato spesso adito a un discorso mediatico monocorde: la difficoltà di integrare una comunità considerata totalmente chiusa, in cui l’illegalità era pratica diffusa se non culturalmente endemica. Poche le voci fuori dal coro, quelle che hanno ricostruito il percorso storico del processo migratorio nella città, hanno analizzato le contraddizioni e le connivenze del mondo imprenditoriale locale e la deresponsabilizzazione della gestione politica. Un fattore quest’ultimo che ha finito per influenzare fortemente i processi di inserimento sociale della comunità. Riccardo Staglianò, collega del Gruppo Repubblica l’Espresso, è una di quelle voci che si sono impegnate negli anni a provare a capire quelle contraddizioni e a raccontare le complessità. Si veda ad esempio il racconto del dopo rogo del 1° dicembre 2013 su Venerdì di Repubblica.
Matteo Biffoni
Biffoni deve provare a costruire una nuova narrazione sulla sua città e sulla sua dimensione multiculturale, ma al tempo stesso assume le funzioni di responsabile immigrazione nazionale dell’Anci in una fase caratterizzata dall’arrivo continuo di migranti e richiedenti asilo e dalla necessità di accoglienza nei vari territori e comuni.
Partecipando al seminario europeo “Hate speech and freedom of expression” organizzato a Firenze dall’Associazione Carta di Roma, il sindaco di Prato ha colto l’occasione per un richiamo al senso di responsabilità sia degli amministratori che dei giornalisti sui temi del linguaggio.
Qual è dal suo punto di vista il ruolo che gioca l’informazione nei processi di accoglienza e di inserimento dei migranti nelle varie città?
«Penso che il tema della sicurezza, del degrado e anche dell’immigrazione che colpiscono la vita quotidiana dei cittadini di una determinata città sia di grande importanza. Non si devono negare i problemi, e ovviamente è giusto raccontare i fatti, ma enfatizzare i toni serve solo a rendere meno gestibile il problema. Capisco che i titoli devono attirare l’attenzione e c’è una continua rincorsa a qualche clic o copia venduta in più, ma bisognerebbe capire e assumersi la responsabilità dell’impatto di un’informazione tutta urlata. Allora termini quali “bufera”, “pericolo”, “invasione” quando magari arriva una persona o una famiglia in un quartiere non è esattamente raccontare quello che sta succedendo. Non è esattamente fare informazione. Allora raccontare, esaminare e anche criticare è giusto, ma non cercare a tutti i costi il titolo e lo scoop su temi così complessi».
Imputa una grande responsabilità all’informazione, ma lei stesso ha legato il tema dell’immigrazione al degrado e alla sicurezza. Un’associazione di pensiero che per primi gli amministratori locali e le forze politiche hanno tematizzato come tale e hanno avuto interesse a mettere insieme. Forse allora non è tutta colpa dei giornalisti. Qual è la responsabilità delle forze politiche e degli amministratori?
«Come amministratori abbiamo una responsabilità enorme, però, con una differenza. Le forze politiche vivono di consenso e quindi su temi delicati – la questione dei profughi per esempio, ma ce ne potrebbe essere un lungo altro elenco – certe volte si utilizzano toni che sono violenti, che colpiscono la pancia delle persone, come si dice in gergo. Allo stesso tempo ci sono programmi televisivi costruiti per fare scandalo e poi magari viene fuori che le interviste – penso a quelle del presunto rom – erano completamente false. Su questo la politica ci gioca.
Ci sono dei temi sui quali si può anche provare ad esagerare perché hanno ricadute politiche varie, ma non nella gestione quotidiana. Sul tema dell’immigrazione e dell’accoglienza alzare i toni spesso si ritorce contro l’amministratore che si trova a gestire sul territorio le questioni. Per esempio i toni del Veneto, con massimo rispetto del presidente Zaia, che è stato rieletto di recente da tantissimi cittadini, segno che ha amministrato bene; ha gridato: “Noi basta, non li accogliamo più, non li facciamo più venire” e poi si trova 90 profughi nelle spiagge di Jesolo rischiando di mandare in crisi anche il sistema turistico della zona. Questo è quello che si rischia in questo corto circuito. Si lancia un allarme su un tema complicato e che non puoi sempre affidare all’ultima scala della gestione che sono i sindaci. Bisognerebbe anche che le forze politiche, mantenendo le proprie posizioni, pur nello scontro che sarà sempre aspro, riuscissero a mantenere espressioni e toni consoni. Nessuno pensa di essere nel mondo delle orsoline e quindi che ci siano scambi di fioretto sempre e comunque. Si usa anche la clava in politica e lo sappiamo. Bisognerebbe, però, capire che siccome è una ruota che gira e che i ministri degli interni cambiano, i sindaci cambiano, ma il problema resta uguale per tutti, è necessario essere intellettualmente capaci di non superare una certa barriera. Questo aiuterebbe tutti. Aiuterebbe qualunque forza politica che si trova ad amministrare il problema e a gestirlo in modo più sereno.
Se sia i professionisti dell’informazione e le forze politiche facessero tutti uno sforzo di rigore intellettuale sapendo che usare un termine piuttosto che un altro può aiutare a gestire il contorno secondo me aiuterebbe tutti».
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