Di Eleonora Camilli su Redattore Sociale
Come funzionano le procedure di identificazione e categorizzazione dei migranti, rifugiati o richiedenti asilo che fanno ampio utilizzo di dati biometrici? Quali tutele dal punto di vista della privacy e del diritto vengono rispettate? Ad esplorare la fitta rete delle nuove tecnologie per il controllo delle frontiere è un lungo report realizzato da Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights dal titolo Tecnologie per il controllo delle frontiere in Italia.
Secondo la ricerca, nel momento in cui viene effettuata l’identificazione i migranti hanno ben poche possibilità di conoscere il percorso che faranno i loro dati personali e biometrici, nonché di “opporsi al peso che poi questo flusso di informazioni avrà sulla loro condizione in Italia e in tutta l’Unione Europea. Quest’ultima, infatti, promuove da alcuni anni la necessità di favorire l’identificazione dei migranti, stranieri e richiedenti asilo attraverso un massiccio utilizzo di tecnologie: a partire dal mare, pattugliato con navi e velivoli a pilotaggio remoto che scannerizzano i migranti in arrivo; fino all’approdo sulla terraferma, dove oltre all’imposizione dell’identificazione e del foto-segnalamento i migranti hanno rischiato di vedersi puntata addosso una videocamera intelligente”. Non solo, nel testo si parla anche di come lo stato italiano utilizzi la tecnologia del riconoscimento facciale già da alcuni anni, senza che organizzazioni indipendenti o professionisti possano controllare il suo operato. “Oltre alla mancata trasparenza degli algoritmi che lo fanno funzionare non sono disponibili informazioni chiare sul numero di persone effettivamente comprese all’interno del database che viene utilizzato proprio per realizzare le corrispondenze tra volti, AFIS (acronimo di Automated Fingerprint Identification System) – spiega l’Hermes center.
Secondo l’organizzazione negli ultimi anni si sta verificando una “datificazione della società” attraverso la raccolta indiscriminata di dati personali e l’estrazione di informazioni (e di valore). “Siamo convinti che vada messa in dubbio non solo la tecnologia digitale creata al presunto scopo di favorire il progresso o di dare una risposta oggettiva a fenomeni sociali complessi, ma anche il concetto di tecnologia come neutra e con pressoché simili ripercussioni su tutti gli individui della società – sottolineano nel report -. È importante a nostro parere che qualunque discorso sulla tecnologia racchiuda in sé una più ampia riflessione politica e sociologica, che cerchi di cogliere la differenza tra chi agisce la tecnologia e chi la subisce”.
In particolare, i dati biometrici raccolti al momento dello sbarco o dell’arrivo sul territorio nazionale sono inclusi in un database (AFIS) che contiene potenziali sospetti ed è utilizzato per ritrovare corrispondenze di volti e identità attraverso il sistema di riconoscimento facciale in uso alla polizia italiana, SARI. “Questa criminalizzazione avviene senza la possibilità che la società civile possa conoscere esattamente il numero di persone foto-segnalate per ogni categoria prevista dalla legge, e quindi in modo incontrollabile e opaco” sottolinea il report -. I migranti, rifugiati e richiedenti asilo effettuano un vero e proprio baratto dei loro dati personali e biometrici in cambio di accoglienza. Inoltre, anche se avessero la possibilità di fornire un consenso informato e potessero appieno comprendere il motivo del trattamento dei loro dati personali e biometrici, la situazione di vulnerabilità e di marginalizzazione nella quale si trovano non gli permetterebbe di opporsi o di chiedere modifiche così com’è invece possibile fare a qualsiasi cittadino italiano o europeo”. Nella pratica, dunque, la gestione e il controllo dei flussi migratori in Europa non passa più solo attraverso le politiche dei flussi o il mero controllo delle frontiere ma anche attraverso procedure automatizzate di monitoraggio. “La sperimentazione di tecnologie digitali in materia di migrazione è un fenomeno totalmente sui generis poiché migranti, stranieri e richiedenti asilo sono rappresentati come popolazioni da dover controllare, tracciare e sorvegliare in quanto al di fuori dei confini e dunque della legge – spiegano i ricercatori -. Non è previsto, come per tutti gli altri (cittadini o legalmente residenti all’interno dei confini statali e dell’UE), sia determinata una ragione specifica per la quale le persone in movimento debbano essere controllate poiché è la loro intrinseca situazione che le rende oggetto di tale sorveglianza. Di conseguenza la sperimentazione tecnologica si verifica in zone grigie, in cui la responsabilità dello stato e dei governi è ridimensionata grandemente per via dell’ambito in cui viene agita. Lo scopo principale dell’utilizzo di tecnologie avanzate come quelle biometriche è, da non dimenticare, quello di raccogliere dati e informazioni strettamente personali e uniche, operando un’attenta analisi per effettuare un controllo sui corpi che attraversano i confini e gli spazi”
Nel report sono contenute anche delle richieste esplicite al Governo italiano, in particolare relativamente alla gestione dei database che raccolgono dati biometrici di persone che appartengono a categorie vulnerabili come i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, in modo tale che queste informazioni non vengano “diluite” tra quelle relative allo stato legale ad esempio di una persona che ha commesso qualsiasi reato penale. “Includere nello stesso database persone che hanno commesso furti o omicidi, persone che hanno un permesso di soggiorno, e chi è invece migrante o richiedente asilo rischia di minare i diritti fondamentali degli interessati – si legge nel testo -. Chi è incluso nel database AFIS è considerato automaticamente un potenziale sospetto e la sua identità digitale biometrica è sottoposta una perquisizione ogni qualvolta il sistema SARI viene utilizzato”. inoltre, si chiede al Ministero dell’Interno di chiarire i tempi di conservazione dei dati inclusi in AFIS e la composizione del database, sottoponendolo all’attenta analisi del Garante per la protezione dei dati personali. “All’interno degli hotspot e, in generale, tra le organizzazioni che impiegano mediatori culturali dovrebbero essere favorite formazioni in materia di protezione dei dati personali dei migranti nonché, per quanto possibile, relative al consenso informato – continuano i ricercatori -. Chi si occupa di prima e seconda accoglienza, a conclusione di tutto il discorso esposto, si trova indubbiamente nella posizione più difficile: di fronte alla necessità e urgenza di prestare aiuto legale, materiale e psicologico alle persone che arrivano in Italia dopo lunghi e difficili viaggi, gli aspetti legati alla dimensione tecnologica e al trattamento dei dati personali passano chiaramente in secondo piano”.
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