Di Daniele Biella su Aeris – sguardi resilienti
Livio Neri, esperto avvocato di ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Cristina Romanelli, coordinatrice del progetto di accoglienza migranti SPRAR29 e socia-lavoratrice di AERIS Cooperativa Sociale (ente che fa parte della Rete di accoglienza Bonvena, attiva in provincia di Monza e Brianza), sono stati intervistati per il blog Sguardi Resilienti sulle dinamiche in atto a livello locale e nazionale sul tema. Ecco le parti salienti della prima parte dell’intervista, il cui video integrale si può trovare in coda a questo articolo.
Alla luce delle recenti modifiche al Decreto Sicurezza, cosa cambia in concreto per il sistema di accoglienza in Italia? Risponde Livio Neri.Di fatto alcune parti del Decreto Sicurezza o Decreto Salvini vengono modificate dal governo attuale, con norme che ne cambiano la filosofia. Per quanto riguarda l’accoglienza, si torna alla struttura che c’era prima, ovvero a un sistema che accoglie per fasi e che reintroduce l’accoglienza nel sistema ordinario anche per i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria, esclusi invece dal primo dei due Decreti Salvini del 2018. L’idea di questo Decreto era che le domande di asilo dovessero essere esaminate rapidamente alla frontiera le l’integrazione venisse concessa solo dopo il titolo. Ora si torna invece a un unico sistema che ha un nuovo acronimo, SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), che supera sia SPRAR che il più recente SIPROIMI.
Prima della riforma del 2015 sistema di accoglienza emergenziale (nei CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, spesso di grandi dimensioni e collocati nel Sud Italia) e sistema ordinario (SPRAR, in cui integrazione e inserimento sul territorio sono maggiori) andavano avanti per canali paralleli e quasi non dialogavano. Poi nel 2015 sono stati unificati con l’idea di far confluire tutti nello SPRAR, ma poi è arrivato il grosso cambiamento del 2018, ora però riformato.
Nel nuovo Decreto governativo ci sono criticità e luci. Come criticità, si mantiene la volontarietà delle adesioni dei Comuni allo SPRAR/SAI, purtroppo non si è tolto questo schema che sappiamo non essere di grande successo perché le adesioni sono poche. Altre forme di assistenza sociale sono obbligatorie, i servizi alle persone disabili o agli anziani, mentre in questo caso rimane una facoltà volontaria e non si è colta l’occasione per superarla. Un altra questione aperta è l’accoglienza per fasi, va bene se è temporanea la prima fase rapida nei CAS, ma se si protrae a lungo, come accade, il rischio è che si svuoti il sistema perché non si raggiunge l’ordinarietà che è l’obiettivo della riforma, ovvero inserire tutti i richiedenti asilo nel sistema ordinario. Questo aspetto lascia un po’ perplessi, perché nei centri di prima accoglienza non c’è ancora un vero diritto all’accoglienza. Una luce del decreto, invece, è avere messo nero su bianco l’elencato delle misure e dei servizi obbligatori che i centri di accoglienza devono erogare – comunque distinti nelle due fasi, una fase per chi sta aspettando la risposta alla domanda d’asilo, l’altra per chi l’ha ottenuto – come la mediazione sociolinguistica, la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Questa introduzione potrebbe risultare molto utile per i bandi futuri, che dovranno rispettare questi standard. Uno dei problemi degli ultimi tempi, infatti, sono stati i bandi “al ribasso” da parte delle Prefetture: questo non dovrebbe più ripetersi perché si devono rispettare i nuovi standard legali.
Volendo trarre una conclusione, di sicuro riconosciamo come ASGI a questa ultima riforma un passo in avanti – che in questo caso è praticamente un passo indietro ovvero raccoglie precedenti norme. Forse si poteva avere più coraggio per andare anche oltre ma è certo che si può tirare un po’ il fiato rispetto al recente passato. Dal punto di vista di un ente che fa accoglienza dal 2011, come si sta vivendo e cosa si sta facendo di fatto questo periodo? Risponde Cristina Romanelli.
Il mio sguardo è condiviso con gli altri coordinatori dei progetti di accoglienza di Aeris, in Provincia di Monza e Brianza ma anche a Monza città e provincia di Lecco. In tutto attualmente abbiamo in accoglienza 170 ospiti, 112 negli appartamenti del sistema CAS della Prefettura di Monza e Brianza, gli altri negli SPRAR. Il primo aspetto che sottolineo è queasto: l’88% dei 112 accolti nell’accoglienza non ordinaria è in attesa del ricorso al primo diniego della domanda di asilo, ed è in Italia anche dal 2016, quindi da un tempo molto lungo. Che si traduce in un’attesa infinita, che li sfinisce. Tra l’altro hanno visto e vissuto insieme a noi operatori i cambiamenti normativi del Decreto Sicurezza, e mentre per i titolari di protezione il sistema ordinario è rimasto valido, per loro no: si è anche assistito a uno svuotamento dei posti SPRAR in cui erano inseriti. Tra l’altro nell’ultimo anno, proprio alla luce del Decreto Sicurezza, una delle priorità è stata trovare lavoro stabile a chi era titolare di protezione umanitaria ma in uscita dal progetto, altrimenti anche questa persona finiva in un vicolo cieco arrivando a una possibile irregolarità futura, per esempio dopo un anno o 18 mesi, ovvero al momento della richiesta di rinnovo del permesso.
È stato per tutti un anno duro: conosciamo la difficoltà del mercato del lavoro già così com’è, ancora più dura è la ricaduta sulle persone in accoglienza: tanti tirocini attivati, diversi inserimenti lavorativi ma con contratti precari e magari senza requisiti per convertire utilmente il permesso, e in più colleghi operatori che impazziscono con l’Inps per richiedere l’estratto contributivo e tutti gli altri documenti che servono. In tutto questo è arrivato anche il lockdown, con persone impiegate in mense scolastiche che hanno perso lavoro, per esempio, e quindi non hanno più avuto la possibilità della conversione del permesso.
Ora con le nuove modifiche tiriamo il fiato, sì, sperando che speriamo che l’iter parlamentare giunga a compimento senza cambiamenti, così le persone in uscita dallo SPRAR possano vivere più serenamente tale momento senza la paura di perdere il permesso di lì a poco tempo. Per quanto riguarda la protezione umanitaria, l’abolizione o il rinnovo mancato era stato un grande problema perché rappresentava un “cuscinetto” per l’integrazione in particolare di chi aveva problemi fisici o psichici derivante dall’esperienza migratoria. Non potere più erogare nei CAS i servizi per l’integrazione è stato dannoso, perché non essendo inseriti tali servizi nei bandi prefettizi non abbiamo avuto la forza economica per erogarli. Quindi chi non ne ha beneficiato ha avuto un’accoglienza comunque curata ma meno completa, proprio perché chi invece ne ha usufruito ha potuto avere tante ore di lezione di lingua italiana, molti tirocini lavorativi e centinaia di corsi avviati negli anni. Ora contiamo che tale problema venga superato, gli unici dubbi che esprimiamo sono rivolti al fatto che se la durata di attesa in accoglienza CAS rimane alta, i servizi previsti in questa prima fase possono risultare meno efficaci rispetto a quelli rivolti alle altre persone già titolate.
Ulteriori domande, nel video, raccolgono le risposte di Livio Neri e Cristina Romanelli su qual è la situazione del flusso migratorio alle frontiere europee di mare e di terra, che ricadute ha la pandemia nell’accoglienza e quali sono alcune storie di persone che efficacemente descrivono e fanno comprendere la complessità della situazione attuale.
Link alla videointervista su Youtube: https://youtu.be/hG91npo4niU
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