Una generazione fa, la globalizzazione ha reso più piccolo il mondo. Nazioni legate dal commercio e dalla tecnologia hanno iniziato a cancellare i vecchi confini. Ma ora le barriere sono di nuovo in aumento, guidate dalle ondate migratorie, conseguenza delle guerre e della crescita della minaccia terrorista.
Queste le parole scelte dal Washington Post per introdurre un approfondimento interattivo che esamina la chiusura delle frontiere in otto paesi, attraverso parole, immagini e suoni.
Il lavoro è diviso in tre capitoli: il primo sull’aumento delle barriere nel mondo, in epoca moderna mai stato significativo come oggi; il secondo sulle recinzioni innalzate in Europa, come risposta alle migrazioni forzate; il terzo e ultimo è un viaggio lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti, per comprendere meglio quali potrebbero essere le ripercussioni della costruzione di un muro di separazione.
La situazione attraversata dall’Europa è trattata come un vero e proprio caso di studio dal Washington Post: fino al 2015 il continente europeo aveva i confini più aperti del mondo, scrive la testata statunitense, ma nel giro di alcuni mesi quello che definisce “uno sforzo disordinato per fermare un flusso di massa di migranti in fuga dai conflitti di Siria, Iraq e Afganistan” si è concretizzato nell’innalzamento di muri.
Video, mappe, grafici e testimonianze di rifugiati, organizzazioni e rappresentanti delle istituzioni nei paesi che hanno deciso di chiudere le frontiere: il lavoro del quotidiano online ripercorre quanto accaduto lungo la rotta balcanica, ma anche in Austria e a Calais.
Uno strumento utile per avere la visione d’insieme di quanto è accaduto e sta accadendo lungo le frontiere europee.
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