Fadi* and his wife Rasha* leave with their three children from a reception centre in east Sicily, Italy in the morning after they arrived by boat from Turkey. They have travelled from Syria and plan to catch a train to Milan before continuing on to Germany.
Sono oltre 4 mila, la maggior parte di loro non è accompagnata. Sono i minori che arrivano in Italia attraversando il Mediterraneo, tra le ultime tappe di un viaggio iniziato mesi – a volte anni – prima.
Caroline* ha 17 anni e arriva dalla Nigeria, dove viveva con le due sorelle minori di 13 e 8 anni, senza mai aver conosciuto i suoi genitori. «Un mese fa ero nel negozio di mia zia. Dei conoscenti sono entrati e ci hanno raccontato di aver visto un gruppo di uomini con una maschera nera prendere una delle mie sorelle. Siamo uscite per capire cosa stesse accadendo e c’è stata un’esplosione. Ho afferrato l’altra mia sorellina e siamo scappate». Correndo Caroline cade e si ferisce sul volto, perdendo i sensi. Non ricorda molto di quanto sia accaduto dopo: ha riacquistato conoscenza in un luogo sconosciuto, in mezzo a volti estranei. Le hanno detto di non fare domande. «Mi sono svegliata sulla barca, non ho pagato nulla per il viaggio. C’erano molte persone. Mi hanno detto di non alzare lo sguardo e di non parlare». Caroline è arrivata senza sapere di trovarsi in Italia e resterà qui perché non ha nessuno in Europa. Insieme a lei altre ragazze nigeriane nella stessa condizione. Potrebbe trattarsi di un caso di traffico di esseri umani.
Tewede* è un quindicenne eritreo che ha abbandonato il suo paese dieci mesi prima di giungere in Italia. Ha attraversato l’Etiopia, il Sudan e la Libia. Qui ha trascorso due mesi in una delle strutture dove i trafficanti trattengono i migranti, in attesa di ricevere i soldi per poter pagare e affrontare la tappa successiva, il mare: «La vita in Libia era durissima. I trafficanti ci urlavano contro dicendoci che non potevamo andarcene. Ho provato a fuggire e sono stato messo in prigione per una settimana. Ad altri hanno sparato, ferendoli; non so quanti ne siano morti. Uno dei trafficanti mi disse che dovevo andarmene, o la mia vita sarebbe stata in pericolo, così ho pagato mille dollari per uscire di prigione». La sensazione di essere arrivato in Italia, lasciandosi alle spalle la parte più dura del viaggio, è qualcosa che Tewede non riesce a descrivere. La sua speranza è quella di raggiungere la sorella nel Regno Unito.
Padre di tre bambini tra i 18 mesi e i 17 anni, Mohammed* è scappato insieme alla moglie e i figli dalla Siria tre anni fa. Fino a maggio hanno vissuto in Libia, dove si trovavano già il padre e il fratello di Mohammed. Quanto suo fratello viene ucciso e il suo negozio distrutto non hanno scelta: «Abbiamo lasciato Tripoli su un peschereccio con 1500 persone. Abbiamo trascorso un giorno e mezzo a bordo, c’erano solo il cibo e l’acqua che avevamo portato con noi». I bambini erano spaventati, ma hanno capito perché hanno dovuto abbandonare la Siria e poi la Libia: «Si sentono sicuri qui, sorridono». L’obiettivo per questa famiglia è la Germania.
«I membri dell’Unione europea devono fare di più per proteggere le persone più vulnerabili, compresi i bambini, dal finire nelle reti di criminali e trafficanti una volta in Europa», afferma Valerio Neri, Save the Children. L’organizzazione fa appello all’Unione affinché proceda con la definizione di politiche per l’immigrazione che tutelino i rifugiati.
*Nome di fantasia
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A Lampedusa c’è la tomba di una giovane donna di nome Ester. Aveva 18 anni e veniva dalla Nigeria. Era incinta ed è morta di stenti su un barcone carico di migranti rimasto in balia delle onde per giorni
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