Il loro percorso è iniziato in Siria, dove denunciavano con video e foto le violenze alle quali assistevano. Dopo la fuga hanno preso parte al progetto di storytelling radiofonico Syrians Between Us, che ha dato voce e professionalità alle persone costrette dal conflitto a fuggire ad Amman
Di Piera F. Mastantuono
Sessanta i rifugiati siriani che in quattro anni hanno avuto l’opportunità di diventare citizen journalist grazie a Syrians Between Us, programma ospitato dal 2012 al 2016 dalla giordana Radio al Balad, che ha sede nella capitale del paese, Amman. Il progetto di storytelling, avviato grazie al supporto dell’ambasciata Usa in Giordania, aveva un obiettivo: quello di dare voce, attraverso una specifica formazione, alle persone costrette dalla guerra e dalla persecuzione a varcare il confine giordano. Per quattro anni i partecipanti al programma hanno avuto la possibilità di raccontarsi, contrastando stereotipi e pregiudizi diffusi nel paese, ricevendo un compenso per il materiale giornalistico prodotto. E per alcuni di loro, una volta concluso il progetto, il giornalismo è diventata una professione.
“Le persone sono esperte della propria vita. Abbiamo pensato di dare ai siriani la possibilità di parlare di se stessi”, ha detto a Global Voices Daoud Kuttab, tra i fondatori del programma. La scelta del mezzo, la radio, non è stata causale: Kuttab ha spiegato che i discorsi d’odio nei confronti dei rifugiati erano in crescita, soprattutto su alcune frequenze radiofoniche. Da qui la volontà di creare uno spazio per consentire ai siriani di parlare della propria esperienza e condizione in prima persona, facendo emergere aspetti critici e poco raccontati in Giordania come la corruzione nei campi, l’impossibilità di accesso all’educazione per bambini e ragazzi, lo sfruttamento lavorativo di adulti e minori.
Dalla Siria alla Giordania denunciando i problemi vissuti dai siriani
Se da un lato il progetto di citizen journalism condotto ad Amman ha consentito ai rifugiati siriani di esprimere la propria opinione e farsi conoscere in modo diretto, dall’altro ha avuto il grande valore di dare loro un’opportunità professionale. Oltre al compenso corrisposto ai partecipanti nel corso del progetto – circa 100 dollari per ogni produzione, una fonte di sostegno economico importante per chi è giunto in un nuovo paese senza denaro e senza un lavoro – il programma ha avuto il merito di formare in modo approfondito i circa 60 rifugiati siriani beneficiari. Quelli più appassionati ne hanno fatto la loro professione e a progetto finito continuano a lavorare come giornalisti.
Zein Jbeily, fuggita da Aleppo, ha trovato in Syrians Between Us la sua strada. Anche lei in Siria manifestava il suo dissenso per Assad attraverso il citizen journalism. La radio ha rappresentato per lei il proseguimento dell’attività di denuncia: il suo obiettivo è migliorare le condizioni di vita dei siriani in Giordania, attraverso il lavoro di inchiesta.
Anche Sa’id al–Haj Ali scappato da Daara, nel sud della Siria, è uno di loro. Entrato nella squadra di Syrians Between Us nel 2014, Haj Ali prima della fuga scattava e pubblicava fotografie che denunciavano le violazioni del regime di Assad. “Non c’erano media in Giordania che parlassero di problemi, delle storie e delle questioni di interesse dei siriani”, questo lo ha spinto ad avvicinarsi al progetto radiofonico, come ha spiegato a Global Voices. Il suo sogno oggi è quello di poter tornare in Siria e fondare lì una radio.