Almeno 800 persone sono morte nel Mediterraneo cercando di raggiungere l’Europa, solo nel 2014. Una stima al ribasso che non può più essere tollerata e che spinge l’UNHCR a rinnovare l’appello per un intervento europeo urgente che ponga un freno a questa tragedia.
Persone che affogano, soffocano, vengono accoltellate: sono queste le scene a cui assistono, a bordo delle sovraffollate e precarie imbarcazioni, i sopravvissuti. Le morti in mare di chi fugge dalla guerra e dalla persecuzioni sono diventate sempre più frequenti nelle ultime settimane e richiedono un piano d’azione europeo che possa prevenirle.
Nella prima metà del 2014 hanno scelto la rischiosa via del mare il 25% di richiedenti asilo in più rispetto all’anno precedente. Da gennaio a giugno 2014 hanno raggiunto le coste di Italia, Grecia, Spagna e Malta circa 75mila rifugiati; a questi si aggiungono i 21mila arrivati in Italia dal primo luglio. Provengono per lo più da Eritrea, Siria e Mali, paesi dilaniati dai conflitti e dalla violenza; molti di loro sono bambini. Il viaggio in mare, che ha quasi sempre inizio sulle coste libiche, può durare da uno a quattro giorni, ma in alcuni casi ha superato le due settimane, concludendosi solo con l’arrivo dei soccorsi.
«La morte di 260 persone in meno di dieci giorni (cifra aggiornata al 24 luglio, ndr), in circostanze orribili, è la prova che la crisi del Mediterraneo si sta intensificando – ha affermato António Guterres, di UNHCR – i paesi europei devono intraprendere azioni urgenti per mettere fine a questa catastrofe». Ricordando lo sforzo portato avanti dall’Italia nelle operazioni di salvataggio e accoglienza, l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Rifugiati esorta tutti gli stati membri Ue a intervenire e a elaborare una strategia comune per sostenere i paesi più impegnati e per offrire più sicurezza ai richiedenti asilo.
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