La video-inchiesta di Fabrizio Gatti sull’Espresso riaccende i riflettori sul naufragio dell’11 ottobre 2013, dopo l’interpellanza parlamentare urgente del 2014 il procedimento giudiziario è ancora in corso
Sono trascorsi quattro anni dal naufragio di un peschereccio tra Lampedusa e Malta nel quale morirono 268 persone, di cui 60 bambini, era l’11 ottobre 2013. La video inchiesta pubblicata da Fabrizio Gatti su l’Espresso il 9 maggio riaccende così i riflettori su una vicenda irrisolta portando nuovi elementi all’attenzione dei lettori: immagini inedite, telefonate tra le Forze armate di Malta e la Guardia costiera italiana, chiamate arrivate direttamente dal barcone che stava affondando.
Sulle ragioni per le quali un’imbarcazione con 480 persone a bordo non fosse stata soccorsa prima, era stata presentata alla Camera un’interpellanza urgente dal Movimento 5 stelle. Nelle trascrizioni dell’assemblea, il 10 gennaio 2014, il deputato Luca Frusone aveva illustrato l’interpellanza presentata chiedendo chiarimenti in merito al naufragio del peschereccio carico di profughi siriani.
Tra interpellanza parlamentare e documentazione inviata il procedimento è ancora in corso
Dopo una dettagliata ricostruzione dei fatti, che pone l’accento sulle cinque ore di attesa intercorse tra le chiamate e l’intervento, Frusone sottolinea: “La cosa più imbarazzante è, però la confusione su chi doveva intervenire tra Malta e l’Italia. Alle ore 13 dell’11 ottobre era ancora possibile salvare tutti i naufraghi, ma la centrale operativa di Roma rinunciava all’intervento diretto e passava la richiesta di soccorso a Malta – anche perché la zona Search and rescue (SAR) è, appunto, di competenza maltese – anche se, come ho ribadito prima, la distanza era di 113 chilometri da Lampedusa e di 218 chilometri da Malta, quindi era molto più vicina a Lampedusa che a Malta, nonostante questa zona SAR”.
La richiesta avanzata è stata la seguente: “Vorremmo sapere perché non siano state impartite – anche alla luce delle ripetute emergenze in quel tratto di mare in quei drammatici giorni – precise istruzioni al coordinamento di Roma del comando generale delle capitanerie di porto, struttura della Marina, inquadrata nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da cui dipende l’attività della Guardia costiera, affinché le richieste di soccorso fossero immediatamente diramate alle unità dislocate a Lampedusa e in pattugliamento in quel tratto di mare.”
Il sottosegretario di Stato per la difesa, Gioacchino Alfano ha risposto così all’interpellanza: “Tutta la documentazione inerente – che trova oggetto in quello che è stato detto e, quindi, viene riportata dagli atti della centrale operativa del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto che è competente – è stata già integralmente trasmessa, a suo tempo, alla competente autorità giudiziaria inquirente, che è la procura della Repubblica di Agrigento. Da tali atti, che comprendono anche le registrazioni telefoniche, emerge che l’organizzazione SAR nazionale ha improntato la propria azione – come del resto suo preciso compito istituzionale – alla tutela della vita umana in mare e ha prestato fattiva collaborazione all’autorità maltese, nelle cui acque di responsabilità si è verificato il sinistro”.
Il 3 maggio 2017 il contrammiraglio Nicola Carlone, della capitanerie di porto-Guardia costiera, è stato audito nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell’area Schengen e in merito al naufragio dell’11 ottobre 2013 ha sottolineato come “In relazione all’evento sono tutt’ora indagati alcuni ufficiali della marina militare e del corpo della capitaneria di porto, il personale in servizio presso il centro di soccorso di Roma, ai quali viene contestato il reato omissione di soccorso e omicidio colposo”.
La documentazione era stata quindi trasmessa alla procura della Repubblica di Agrigento 4 anni fa, ma ad oggi il procedimento è ancora in corso. Quello che Fabrizio Gatti titola Il naufragio dei bambini non ha ancora alcun responsabile.