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Nazionalismo e multiculturalismo, una sfida anche per i media svedesi. Intervista al direttore di Expo

Non appena fu pubblicato il primo numero di Expo nel 1995 la rivista divenne il bersaglio di una vasta campagna di odio da parte di gruppi neo-nazisti. I giornalisti e ricercatori, così come tutto il personale dell’omonima Fondazione creata tra gli altri dal famoso scrittore Stieg Larsson, ricevettero minacce di morte e la fabbrica dove veniva stampato Expo fu vandalizzata. L’attacco violento creò un largo dibattito sui media e nell’estate del 1996, i due maggiori quotidiani nazionali svedesi Aftonbladet e Expressen decisero di pubblicare 800.000 copie di Expo come supplemento.

La rivista appartiene alla Fondazione Expo fondata nel 1995 con lo scopo di studiare e mappare i movimenti estremisti di destra e le tendenze razziste nella società. La Fondazione svolge attività di formazione a giornalisti, insegnanti e politici, oltre di ricerca, mantenendo l’archivio che è la più grande fonte di informazioni sulla estrema destra e fenomeni di anti-democratici in tutta la Scandinavia.
Avevamo incontrato il direttore della rivistaDaniel Poohl nel maggio scorso, nell’ambito dell’indagine europea su Media e Diversità, e a lui avevamo chiesto come i media svedesi si confrontavano con il discorso pubblico e politico razzista.

All’indomani dell’elezioni in Svezia che hanno visto il partito di estrema destra dei cosiddetti «Sverigedemokraterna» (Democratici di Svezia), ottenere un ottimo risultato, il 12,9%, raddoppiando i seggi dal 5,7% i moniti e le analisi di Poohl appaiono ancora più interessanti e attuali.

Per troppi anni i giornalisti svedesi hanno discusso sulla necessità di trattare il discorso politico ma al tempo stesso su come prenderne le distanze quando diventa xenofobo. Oppure si discuteva delle protezioni necessarie ai giornalisti che facevano inchieste sui movimenti neo nazisti e sul trattamento delle minacce da parte della Polizia. Troppe polemiche e dibattiti e si è perso di vista il compito principale del giornalismo: raccontare cosa stava succedendo nel paese.”

Cos’è che è mancato nel racconto giornalistico di preciso?

Non si è informato in modo ampio e adeguato delle evoluzioni in corso della nostra società multiculturale, della reale convivenza e delle discriminazioni. Bisogna parlare della società in cui viviamo e ad esempio iniziare a raccontare quante persone di origine straniera vivono in alcuni comuni e quante persone della stessa origine siedono nei consigli comunali di quelle città.

Il miglior modo per me è affrontare tutti questi temi come un vero giornalista e non far entrare i sentimenti che niente hanno a che fare con il giornalismo.

Vuoi dire che non c’è una consapevolezza sull’importanza del tema?

No secondo me la consapevolezza dei media è abbastanza ampia e non ci sono più articoli che vedono le minoranze trattate in modo sterotipato ma anzi si cerca di sfatare certi pregiudizi con pezzi come quello uscito l’altro giorno su Svenskabladet ”10 miti sui Rom che vengono in Svezia” che affrontava ad uno ad uno i luoghi comuni sull’argomento. Certo sui musulmani si leggono e si vedono ancora servizi spesso associati al fenomeno estremista ma in generale la rappresentazione non è così negativa.

Allora qual’è il problema?

Io credo che i migliori servizi o articoli siano quelli che cercano ad esempio di indagare sulla qualità dei servizi ospedialieri e vanno ad intervistare e avere le opinioni di “tutti” i pazienti. Se tra le opinioni raccolte ci sono sia persone con le teste rasate, sia la middle class svedese che la parte di mondo che ormai vive a casa nostra abbiamo fatto un buon servizio alla collettività e sortito un maggiore effetto che non scrivere un pezzo sui miti da sfatare.

E’ chiaro che se faccio invece un servizio o un articolo sullo stile degli appartamenti svedesi molto probabilmente ho in mente di parlare ad uno specifico segmento di pubblico interessato non a vedere come si vive nei sobborghi ma come si arreda una casa di una tipica famiglia di classe media svedese e allora sarò legittimato e ovviamente interessato a mostrare come vive e in questo caso come arreda le sue case quel segmento di popolazione a cui mi rivolgo.

Ma quando parlo della società svedese e della sua evoluzione non posso considerare solo questa parte di realtà.

Quale sono le ragioni di questa copertura parziale?

Il problema maggiore è rappresentato dalla composizione delle redazioni. Se entriamo là dentro vediamo solo la classe media bianca a lavoro. Solo recentemente il più diffuso tabloid svedese Aftonbladet ha iniziato un reclutamento del personale con un background straniero.

Anche il servizio pubblico ha fatto poco in questa direzione.

Ma il caso del conduttore radiofonico di origini etnica minoritaria che dalla radio pubblica ha detto apertamente che non poteva non dire che il partito nazionalista svedese era un partito xenofobo non dimostra comunque una difficoltà a trattare il tema a prescindere dalla nazionalità o l’origine dei giornalisti e del personale dei media?

Si discute spesso in Svezia tra i colleghi come controbilanciare o stigmatizzare i discorsi razzisti che vengono pronunciati da personalità politiche. Io ritengo che qualche volta sia più importante che i razzisti abbiano l’opportunità e il diritto di essere razzisti che gli antirazzisti abbiano quello di protestare.

Io sono un grande supporter dei principi chiave e delle politiche che cerca di adottare la Radio pubblica svedese perché non vorrei un panorama politico mediatico come quello degli Stati Uniti dove ogni tv show è di destra o è di sinistra. Mi piace l’idea di avere una tv o una radio pubblica dove si cerca di essere neutrali o almeno ci si sforza di esserlo. L’obiettività non esiste ed è un falso problema ma lo sforzo per riportare con responsabilità affermazioni contrapponendo dati e un lavoro di preparazione e di indagine deve essere comunque un faro per il giornalismo.

Ogni quotidiano e ogni testata nascono con una propria identità e una linea editoriale propria, ma tutti sanno che garantire gli standard giornalistici e rispettare i principi cardine dei giornalismo è nel loro interesse perché significa essere credibili .

Quindi rispetto all’avanzata dei partiti nazionalisti e xenofobi i media svedesi hanno adottato un comportamento corretto e responsabile?

Solo in parte. C’è un trend che mi preoccupa. E’ quello di scrivere o ospitare della sorta di editoriali o rubriche tipo “Opinioni di corridoio”, spazi che non informano ma vogliono solo suscitare calmore e dibattito, dando adito a forti proteste di chi è contrario a quelle posizioni. Non si tratta di notizie o analisi supportate da dati e il dibattito che si solleva non è veramente aperto. C’è una falsità di fondo ad esempio su tutta la retorica che è stata usata in quegli spazi per parlare di immigrazione e rifugiati e che non permette di comprendere i fenomeni ma solo di alimentare i pregiudizi. Il ruolo degli intellettuali per contrastare questa deriva sarà fondamentale.

Anna Meli

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