«Una persona non può essere illegale – ma c’è un modo alternativo e conciso per descrivere qualcuno che si trova in un paese illegalmente?». Chris Elliott, readers’ editor (colui che raccoglie, controlla e analizza i commenti dei lettori) dell’inglese Guardian, pone agli utenti della testata online questa domanda.
“ILLEGAL IMMIGRANTS” SUL GUARDIAN
«Uno dei cambiamenti più evidenti nel modo in cui il linguaggio viene usato, è rappresentato dalla tendenza a evitare di definire le persone attraverso la loro eventuale disabilità» osserva Elliott, spiegando che le linee guida del Guardian, per esempio, stabiliscono per la sindrome di Down l’uso della definizione “un bambino con la sindrome di Down” e non di “un bambino Down”, poiché «la diagnosi non è la persona». Sulla base dello stesso principio, il ragionamento è stato esteso anche ad altri ambiti, come quello dell’immigrazione.
Il dibattito si è fatto acceso in seguito alla pubblicazione di un articolo il 30 luglio; il Guardian scriveva: «David Cameron criticato per aver la trovata pubblicitaria in casa di sospetti immigrati illegali». All’interno del pezzo l’uso della definizione si ripeteva: «Il governo era stato in precedenza criticato per l’invio di furgoni con cartelli che dicevano agli immigrati illegali di “tornare a casa o affrontare l’arresto”».
È arrivata allora la replica di Lisa Matthews, coordinatrice di Right to Remain, la quale ha scritto al Guardian: «In quanto organizzazione per i diritti umani che offre supporto ai migranti – inclusi coloro senza documenti, il cui diritto alla permanenza nel Regno Unito non è ancora stato istituito formalmente – siamo turbati dal ricorso persistente dei media a questa espressione. Il termine “migrante illegale” è impreciso e pericoloso. Anche nel caso in cui qualcuno fosse ritenuto colpevole di un reato d’immigrazione, perché non in possesso dei documenti corretti, la persona in sé non è “illegale”. È un’espressione disumanizzante, che tratta tutti i migranti senza documenti come una massa omogenea, invece di descrivere la realtà: individui con esperienze uniche e storie da raccontare, il cui diritto di stare nel Regno Unito non è stato riconosciuto, di solito a causa di barriere legali e burocratiche. Le Nazioni Unite e il Parlamento europeo hanno chiesto di porre fine all’uso di questa definizione, promuovendo il ricorso a “senza documenti” o “irregolare”».
Una seconda lettera è arriva da Rebecca Moore, del Refugee Council: «La questione dell’immigrazione è estremamente controversa, complessa e sempre in cima alle notizie, per questo crediamo che sia di vitale importanza che gli articoli su questo argomento siano accurati e precisi ed evitino l’uso di definizioni tendenziose. Mentre l’azione di una persona può essere illegale, non è possibile per una persona essere lei stessa illegale». Rebecca Moore ha ricordato al Guardian che anche l’Associated Press, come anche il Los Angeles Time, hanno scelto di non ricorrere più alla definizione sotto accusa. Un’anno e mezzo fa AP aveva annunciato che le lingue guida dell’agenzia non avrebbero più approvato «l’uso del termine “illegale” per descrivere una persona», ribadendo che l’aggettivo “illegale” può fare riferimento solo ad azioni e non a individui e che anche “senza documenti” è inesatto, poiché si possiedono molti documenti, non solo quelli relativi al passaggio o alla permanenza in un paese.
LA REAZIONE
Il redattore delle linee guida del Guardian, scrive Chris Elliott, è d’accordo sull’eliminazione del termine “immigrato illegale” dal vocabolario dei giornalisti della testata, ma si domanda come rimpiazzarlo. “Immigrato accusato di essere entrato in un paese illegalemente”, per quando suoni male, potrebbe essere forse l’opzione migliore?
Il readers’editor ha chiesto provocatoriamente ai lettori cosa ne pensano; in un giorno oltre 250 commenti sono stati pubblicati. L’articolo originale e le risposte degli utenti a questo link: «Whether we should use the term “illegal immigrant“».
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