Ziccardi: “Il dialogo tra il mondo politico e di governo del web è l’unica strada”
Di Anna Meli
Il confine tra discorsi di odio e libertà di espressione non è semplice da tracciare neppure dal punto di vista giuridico. Una situazione allarmante a cui il governo tedesco ha cercato di porre un freno annunciando misure di contrasto e convocando un tavolo di confronto con i principali gestori di social media. Il 15 settembre il ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas annuncia la messa a punto di un piano per il contrasto sistematico ai discorsi di odio diffusi sul web a cui era seguita la dichiarazione di Facebook che prometteva una stretta collaborazione per individuare e rimuovere velocemente i contenuti che incitano all’odio».
«Il traffico di conversazioni che ogni giorno alimenta i social e il web è in costante aumento e, in molti casi, già fuori controllo. Il contrasto sistematico ai discorsi di odio diventa così molto complesso nella sua attuazione pratica» spiega Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica all’Università di Milano e scrittore appassionato di criminalità informatica, hacking e dissidenti digitali, nell’intervista rilasciata a Carta di Roma.
Cosa pensa dell’iniziativa tedesca? Le risulta che Facebook e altri social media siano stati coinvolti in iniziative simili in altri paesi?
«Ogni iniziativa che porti a una collaborazione in un ambito come quello delle espressioni d’odio che, di solito, tende a dividere gli animi, sia un’ottima cosa. Il dialogo tra il mondo politico e di governo del web è l’unica strada per cercare di capire come si possa giungere a una regolamentazione generale che rispetti tutti i fattori importanti che entrano in gioco nel nostro tema, e in particolare mi riferisco alla libertà di manifestazione del pensiero, all’assenza di responsabilità del provider, alla tutela dei diritti dell’individuo. Stabilire leggi per regolare l’ecosistema digitale, come è noto, è un tema molto delicato. La sfida è arrivare ad una legislazione che metta insieme le esigenze dei fornitori di servizi e di piattaforme blog, social network, tra cui Facebook e Twitter, ma non solo, e i produttori di notizie, e le piccole e grandi comunità di utenti che si riuniscono attorno a un tema, spesso con discussioni che si esauriscono anche in poche ore, per poi passare ad argomenti più “di moda”.
Il problema delle azioni di contrasto sistematiche come quella annunciata in Germania è che devono essere realmente “sistematiche”, ossia portate gradualmente verso l’obiettivo e con un’ottica di lungo periodo. Tendono a fallire quelle azioni motivate da eventi eccezionali che, ad esempio, scuotono l’opinione pubblica, ma poi vengono rapidamente abbandonate. Annunci come quello del governo tedesco devono ben separare tra l’azione di “mera propaganda”, per cercare ad esempio di rassicurare gli utenti dei servizi, e reali azioni che portino non solo alla repressione (denunce, rimozioni, cause) ma al tentativo di cambiamento radicale di ciò che sta accadendo, di recupero di una percezione reale di quanto si siano alzati i toni negli ultimi anni, di una nuova sensibilizzazione proprio dei comportamenti quotidiani».
Carta di Roma, insieme alla Federazione Europea dei Giornalisti, ha lanciato un appello a settembre per sollevare la questione della moderazione dei commenti nelle testate giornalistiche e nell’online in particolare. Quali limiti e potenzialità ne rileva?
«Penso sia un’ottima idea l’aprire una discussione su questo tema. La moderazione dei commenti è argomento estremamente delicato per due motivi. Il primo è che in siti con grande traffico, e migliaia di commenti al giorno, diventa impossibile da svolgere “manualmente” (ossia con esseri umani che riflettono sul tono del commento e decidono se moderarlo o meno) e si preferiscono sistemi automatizzati che, ad esempio, riconoscano parole chiave ma che possono essere facilmente aggirati o che possono rischiare di moderare espressioni legittime e, quindi, funzionare come strumenti per la “censura involontaria”. Il secondo è che molto spesso i commenti sono lasciati “liberi”, in diversi contesti, perché aumentano introiti pubblicitari grazie ai clic e al fiorire di ulteriori commenti che si nidificano accanto a quelli originari d’odio. È nella libera scelta di ogni quotidiano se moderare o meno, e come commentare, pur avendo chiaro, in ogni caso, il sistema di responsabilità che ne deriva. Ho letto di grandi testate che hanno preferito chiudere i commenti agli articoli su temi più dibattuti, per timore, appunto, di azioni legali. Fino a quando non sarà chiaro il panorama normativo “sopra” al sistema dei commenti, ogni scelta dovrà essere ponderata. Nella maggior parte dei casi, infine, i commenti non portano alcun valore aggiunto al testo dell’articolo o alla riflessione correlata: sono off topic, o semplici offese tra un commentatore e l’altro. Io penso che un buon sistema, che già vedo operativo in alcuni blog, sia di rendere chiaro prima a chi partecipa alle discussioni in quella comunità quali siano le regole da rispettare, pena l’esclusione o il richiamo. Il cercare di spingere i partecipanti alla community ad auto-regolamentarsi per garantire un ambiente più sano per tutti».
Saranno quindi delle misure giuridiche a regolare il confine tra libertà di espressione e diffusione di discorsi di odio? Oppure si deve guardare più a lungo termine alla sfida culturale che sta dietro l’uso civile del diritto di parola universale che la rete offre?
«Secondo me saranno un insieme di varie misure. Sicuramente il diritto, ma anche le campagne di sensibilizzazione, la redazione di brevi codici o decaloghi per il comportamento in determinati ambiti di discussione, la prima giurisprudenza che, a breve, affronterà casi specifici. Non vedo, insomma, un’unica soluzione che regolamenterà il confine, ma più azioni. Il problema sarà vedere come si concilieranno queste azioni che, spesso, non sono coordinate tra loro o si basano su principi, di partenza, differenti. Già tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa, per fare un esempio, le regolamentazioni sono molto differenti pur essendo la rete, alla fine, globale e senza confini. Di sicuro il riferirsi alla civilità, alla moderazione dei toni, al rispetto del prossimo è sempre una scelta vincente che però, in alcuni casi (e in alcuni ambienti) non è facilmente accolta».