Riscriviamo insieme un vademecum per contrastare i seminatori di odio
Di Domenica Canchano
Le parole pesano come pietre e contribuiscono a innalzare i Muri dell’odio e della diffidenza verso l’altro da sé. Le parole costruiscono il senso comune, rafforzano o rimuovono quegli stereotipi coltivati ad arte da quanti sulla paura e l’ostilità verso “i migranti che portano violenza e rubano lavoro” provano a costruire le proprie “fortune” politiche.
La rete è oggi una delle trincee più avanzate ed esposte nella lotta al razzismo e alla xenofobia. Non è solo un problema di addetti ai lavori, è una “battaglia” di civiltà in cui ogni coscienza libera da pregiudizi può e deve fare la propria parte. A cominciare dal mondo, troppo spesso silente o sulla difensiva, dell’informazione.
#nohatespeech è la campagna che la Carta di Roma ha intenzione di sviluppare con un obiettivo ambizioso e di stringente, drammatica attualità: bannare i forsennati del cyber-razzismo, impedire la diffusione dell’odio che dalla realtà virtuale si trasferisce in quella reale. Non si tratta solo di assolvere a un atto di responsabilità civile che non può, non deve essere delegato.
Per chi fa il giornalista, per chi ogni giorno lavora con le parole, e ne saggia il peso, è anche qualcos’altro: l’adempimento della regola base della professione, quella che impone a tutti i giornalisti il dovere di restituire la verità sostanziale dei fatti. Nasce da qui, da questa esigenza non più rinviabile, la campagna dell’Associazione Carta di Roma, che il 2 luglio scorso ha organizzato a Firenze – nell’ambito del progetto europeo Prism – un seminario internazionale mettendo a confronto le pratiche di gestione dei discorsi d’odio nelle redazioni europee. La partecipazione e la ricchezza del dibattito ci hanno spronato, dato nuove energie e determinazione, nell’andare avanti su questa strada e lanciare la campagna #nohatespeech.
Nelle ultime settimane abbiamo colto nelle azioni di alcune testate la consapevolezza e la volontà di contrastare i discorsi d’odio: La Stampa, per esempio, ad inizio agosto, seguendo l’esempio della tedesca Ard ha deciso di cancellare i commenti d’odio e di bannarne gli autori, invitando gli altri a isolarli. L’esempio è stato seguito dalla belga RTBF, mentre le organizzazioni di categoria dei giornalisti spagnoli e tedeschi hanno rilanciato l’iniziativa. In Italia l’Usigrai ha manifestato il proprio sostegno, spiegando di vedere nel contrasto all’hate speech una nuova sfida per la Rai, affinché il Servizio pubblico svolga il ruolo fondamentale che gli compete nel riaffermare una forte etica professionale.
Queste iniziative ci rallegrano, ma non ci accontentano. Perché il cyber razzismo non si sconfigge in poco tempo, magari sull’onda di immagini scioccanti che fanno inorridire il mondo per qualche giorno, finendo poi nel dimenticatoio.
Per tali ragioni oggi lanciamo su change.org, insieme alla European Federation of Journalism e ad Articolo21, con l’adesione dell’Ordine dei Giornalisti, della Federazione nazionale della stampa italiana e dell’Usigrai, un appello rivolto ai singoli giornalisti, ai media e ai loro editori, ai lettori/ascoltatori e ai social network.
La nostra ambizione, è quella di non giocare sulla difensiva, ma di riscrivere, assieme, un vocabolario della corretta informazione, un vademecum per contrastare i seminatori di odio e di intolleranza che si annidano nel web, ma anche per smontare quei luoghi comuni che affiancano, e in diversi casi interagiscono, con i razzisti della rete. Un impegno che deve coinvolgere gli operatori dell’informazione, a tutti i livelli. Perché oggi, di fronte alla tragedia, tutt’altro che “naturale”, dei migranti, nessuno può dire “non c’ero, non ho visto”. E ho disinformato.
Per firmare l’appello su change.org clicca qui.