I telegiornali italiani sembrano sempre più impreparati a raccontare il mondo e la sua attuale complessità economica, politica e sociale. Si potrebbero riassumere così i diversi dati che emergono dal primo rapporto “Illuminare le periferie del mondo” presentato da Cospe, l’Osservatorio di Pavia, Usigrai e Fnsi.
Uno strumento pensato proprio per i giornalisti e le redazioni: «Questo rapporto vuole essere uno strumento di lavoro a disposizione delle redazioni – dice Vittorio Di Trapani segretario dell’Usigrai– un pungolo, uno sprone a tornare ad essere testimoni diretti dei fatti. E per farlo bisogna ripartire dalle periferie: tornare a viverle. Per capirle e raccontarle».
Le periferie, intese come geografiche e tematiche, risultano infatti il fanalino di coda dell’informazione negli anni presi in considerazione dalla ricerca (2012- 2017) con l’1% di visibilità (492 notizie totali per una media di 7 notizie al mese per tutti i telegiornali) con un lieve ma ulteriore peggioramento nel primo semestre di quest’anno (79 notizie dal 2015 al primo semestre del 2017; 24 nel 2017).
Ma a sparire non sono tutti gli esteri. Tant’è che questo settore, che dal 2012 al 2017 si è attestato su una visibilità media del 19%, è addirittura in aumento continuo e nel semestre preso in esame del 2017 si registrano già punte del 24%, con un incremento rispetto al 2014 del 40% di visibilità.
Di cosa si parla? A occupare l’agenda degli esteri sono in particolare due fenomeni: il terrorismo e le migrazioni. Dal 2015 questi due temi, insieme alla politica, ad essi legata, costituiscono il 70% dell’agenda degli esteri (rispettivamente 25%, 15% e 30%).
Come se ne parla? Sono i paesi del mondo occidentale i protagonisti dell’agenda degli esteri: il 63% delle notizie riguarda Europa e Nord America (rispettivamente 43% e 20%). Seguono l’Asia (12%), il Medioriente (11%); rimangono marginali: l’Africa (9%), e il Centro-Sud America (5%).
I paesi non europei che si collocano in posizione “alta” della classifica lo sono sempre in relazione ai conflitti (e alle conseguenti migrazioni, quale il caso della Siria e della Libia), o al terrorismo (il caso della Turchia per esempio). Vi sono paesi con meno di dieci notizie in due anni e mezzo, come il Vietnam, la Repubblica Centrafricana e la Mauritania; altri, come il Burundi, l’Algeria e la Sierra Leone presenti in un solo servizio.
Per quanto riguarda il fenomeno migratorio le notizie nel 2016 sono aumentate di oltre il 70% rispetto al 2014. Ma l genesi delle migrazioni, le ragioni che spingono le persone a partire o a scappare restano nell’oscurità (mediatica). Il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Giuseppe Giulietti ha affermato che «le periferie non sono più luoghi marginali, del degrado, sono aree emergenti in cui ve la maggioranza della popolazione». Ecco perché è necessario svolgere un lavoro di diffusione e di sensibilizzazione nelle redazioni per raccontare i luoghi e i contesti da cui le migrazioni hanno origine. Lavoro per cui è impegnata da anni l’Associazione Carta di Roma. Grazie a questo impegno, prosegue Giulietti si promuove l’inclusione sociale, in tempi in cui se manca il retroterra per conoscere i fenomeni, si rischia di diffondere paura e discriminazione.
Stessa scarsità per notizie di approfondimento: solo 26 le notizie in oltre due anni su conflitti endemici e migrazioni forzate; 5 notizie per la povertà e le carestie; 14 le notizie sui viaggi e gli appelli di Papa Francesco; 6 quelle sulla violazione dei diritti umani e della libertà delle donne.
L’Italia non è la sola. La ricerca mette a confronto con i nostri anche i principali telegiornali pubblici europei (di Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna) per scoprire che hanno un tratto in comune: l’eurocentrismo. Nel complesso, i cinque notiziari europei dedicano il 45% delle notizie della pagina esteri all’Europa a seguire, a molti punti di distanza, Asia, America settentrionale, l’Africa, l’America meridionale e l’Oceania, a confermare che è in corso una provincializzazione della pagina degli esteri che porta ciascun paese a richiudersi su di sé e a guardare ciò che è vicino.
Un sistema di informazione del prime time che contribuisce ad alimentare un immaginario troppo parziale dei fenomeni che ci circondano: «Ci viene presentato un mondo “altro” rispetto al nostro – dice Anna Meli di Cospe nell’introduzione – dove carestie, catastrofi naturali, fughe e migrazioni capitano ciclicamente in modo ineluttabile. Cause politiche o ambientali che siano, ormai poco cambia. Sulle migrazioni, per esempio, oggi l’informazione si concentra molto sui luoghi di transito senza riuscire a intercettare il prima e il dopo, i luoghi di origine e le storie e i percorsi di arrivo, anche sui conflitti e il terrorismo il racconto risulta frammentato».
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