Ci sono oggetti personali, come un orologio, una fede e un cellulare, lettere e fotografie, diversi giocattoli. Ma anche molte altre cose perse dai legittimi proprietari che si sono spostati per raggiungere l’Europa. E’ possibile vedere e capire quanto rimane delle vite dei migranti che hanno intrapreso un pericoloso percorso migratorio verso non si sa quale destinazione precisa grazie all’idea del progetto Lost & Found. L’intento finale è quello di realizzare un documentario in via di sviluppo sugli oggetti personali persi dai rifugiati che viaggiano verso e attraverso l’Europa e, soprattutto, raccontare le storie di vita dei loro proprietari. Il progetto è sostenuto dall’Associazione 21 Luglio in collaborazione con Future docs e Advocate europe.
Al momento è stato realizzato un sito che funziona come un virtuale ufficio oggetti smarriti all’interno del quale è possibile mettere foto e indicazioni di oggetti ritrovati o fare richieste in merito al ritrovamento di quest’ultimi. Ci sono anche delle mappe interattive che permettono di indicare dove gli oggetti sono stati persi o ritrovati.
In tal modo è possibile vedere quali sono gli oggetti ritrovati. Tra le ultime cose, per esempio, c’è una lettera scritta da un uomo siriano a suo fratello, un Corano che è stato perso nei boschi macedoni da una insegnante irachena in fuga con i suoi tre figli. Come si comprende dal sito, c’è anche un flauto che è stato donato al proprietario di un bar nella stazione ferroviaria di Idomeni, dove fino a maggio 2016 circa 15.000 persone vivevano in un campo di fortuna. Apparteneva a un musicista siriano. Era l’unico oggetto che è riuscito a salvare da casa sua dopo i bombardamenti e lo ha donato come segno di gratitudine alla persona che lo ha aiutato durante la permanenza a Idomeni. Una bambola invece è stata trovata da Eric Kempsen, un artista britannico che insieme alla moglie ha aiutato migliaia di rifugiati che sono arrivati sulla spiaggia di fronte alla loro casa di Efthalou, nel nord di Lesbo. «Accanto alla bambola – sul sito viene riportata la dichiarazione dello stesso Kempsen – c’era un giubbotto di salvataggio a misura di bambino poiché la dimensione corrispondeva a quella del giocattolo che sarebbe potuto stare lì dentro. Quando l’ho visto, sono rimasto davvero molto colpito».
«L’idea mi è venuta dopo il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 – spiega Christine Pawlata regista e responsabile del progetto insieme alla sceneggiatrice Erika Tasini – quando al cimitero di Agrigento ho visto le tombe di alcuni naufraghi, molte senza nome e abbiamo pensato a tutte le persone di cui non si hanno traccia». «In seguito abbiamo deciso – specifica Pawlata – di raccogliere gli elementi a disposizione e vedere cosa è rimasto delle persone in fuga e allo stesso tempo parlare di destini individuali: nel 2015, infatti, quando abbiamo incominciato ad ipotizzare il progetto, che ha preso avvio l’anno dopo, si raccontavano le vicende dei rifugiati unicamente come una massa di persone che stava presentandosi in modo problematico alle frontiere europee». «Ciò che mancava – aggiunge la regista – e manca ancora oggi, al racconto dei migranti è restituire l’identità individuale di queste persone, identità che è più complessa rispetto a ricondurre ogni aspetto di vita solo alla condizione di rifugiato». Per tale ragione, la regista e la sceneggiatrice a conclusione di una prima fase di ricerca documentale stanno cercando di contattare i proprietari di alcuni oggetti, per restituire loro il dovuto e per realizzare, attraverso un documentario specifico, le storie di vita di queste persone.«Per esempio – in conclusione la regista – sul lato serbo del confine con l’ Ungheria sono state ritrovate delle cartelle mediche in merito ad un problema di salute piuttosto grave di un cittadino iracheno, con diplomi universitari e denunce che contenevano il motivo di fuga da Baghdad con i familiari. Siamo ora sulle tracce di questa famiglia per inserire la loro storia nel documentario».
L’immagine in evidenza è tratta dal sito www.lostandfoundproject.net
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