“Un antico equivoco porta a scambiare spontaneità ed emotività della parola pubblica con la violenza verbale”
Dopo Il Sole 24 ore anche Repubblica parla di #nohatespeech. A scriverne Loredana Lipperini, di seguito il suo articolo.
Parole “tossiche” contro l’odio in rete
Di Loredana Lipperini
«Anche odiare è un diritto, sai?», cantavano gli Afterhours, con le loro ragioni. Ora, però, nell’odio si sguazza. Per meglio dire, soprattutto nei social, un antico equivoco porta a scambiare spontaneità ed emotività della parola pubblica con la violenza verbale.
«Credo poco alle virtù del parlare francamente: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla pigrizia mentale, alla fiacchezza delle espressioni banali». Questo era l’Italo Calvino de “Una pietra sopra”. Vi si ispira la sociologa Graziella Priulla in un libro uscito per Settenove, “Parole tossiche”, dove si dimostra che la violenza verbale «lascia inalterati i ghetti creati dalle vicende sociali e la volgarità compiaciuta della propria arroganza condanna alla mediocrità e alla subalternità».
La premessa è necessaria per presentare la campagna #nohatespeech, promossa da Associazione Carta di Roma, European Federation of Journalists e Articolo 21. La trovate su change.org e, firmando, inviterete i giornalisti a non restare passivi di fronte ai discorsi d’odio, alle testate online a bannare chi ne è portatore, agli amministratori dei social network a oscurare le incitazioni ai linciaggi, stupri, ferocia razzista. C’è un appello anche a lettori e ascoltatori: non reagite, non dialogate con gli odiatori. Le legittimerete. Invece, non intavolate con loro alcun dialogo. Isolateli.
È un passo che sembra piccolo, e non lo è affatto. Come scriveva Doris Lessing, «regimi, paesi interi sono stati travolti dal linguaggio che si diffondeva come un virus»: che non si ripeta per l’ennesima volta.
Se vuoi anche tu che i media siano liberi dai discorsi d’odio firma e condividi la campagna qui.