Il gratuito patrocinio è sempre più spesso oggetto di polemiche e attacchi superficiali sulle testate giornalistiche. La lettera al Giornale per ricordare la dedizione e la passione che animano lo svolgimento di questo lavoro
La lettera di Francesco Di Pietro, avvocato del Foro di Perugia e membro di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, replica a un articolo pubblicato dal Giornale rivolgendosi al direttore della testata, Alessandro Sallusti.
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Gentile Direttore,
Leggo sull’edizione “on line” del quotidiano da Lei diretto un articolo a firma Claudio Cartaldo, pubblicato giorno 1 febbraio 2017, dal titolo: “Agli avvocati degli immigrati vanno 100mila al mese“.
La presente missiva non ha però l’intenzione di commentare quanto riportato nel detto articolo.
Non scrivo per fare osservazioni sull’esattezza dei dati nello stesso riportati (100mila euro al mese) o sulle norme fondamentali che prevedono il diritto alla difesa e il patrocinio a spese dello Stato (art. 24 Cost.; art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo; art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) o sul “rilievo sociale della difesa” previsto dalla legge sulla professione forense (art. 3, comma 2 legge 247/2012).Non voglio neanche trattare del tasso di accoglimento dei ricorsi in materia asilo da parte dei Tribunali: 70% (secondo quanto recentemente riferito dal presidente della Commissione nazionale asilo, prefetto Angelo Trovato). Né è mia intenzione discutere circa i parametri di verità e di forma civile della notizia (quale il divieto di utilizzare un tono scandalizzato e sdegnato, come prescrive la “sentenza decalogo” della Cassazione del 1984).
Ma scrivo unicamente per segnalarLe le significative immagini degli avvocati statunitensi seduti sul pavimento degli aeroporti. Esse sono la prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto il citato articolo.
Il 27 gennaio 2017, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un ordine esecutivo (chiamato dai media “Muslim ban”) che ha bloccato l’entrata in territorio statunitense di cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana (Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen) per 90 giorni ed ha sospeso il reinsediamento dei rifugiati. I rifugiati che erano già sugli aerei, diretti negli Stati Uniti, benché muniti di validi documenti, appena sbarcati sono stati arrestati. Centinaia di persone erano detenute all’interno degli aeroporti. Giungono immediatamente sul posto alcuni avvocati. È stato grazie al loro intervento che poi i giudici federali hanno sospeso il #Muslimban, consentendo così l’ingresso in territorio Usa alle persone arrestate.
Il “NYC Mayor’s Office” ha subito diffuso sui social network le immagini dei “volunteer lawyer” (poi pubblicate anche da “The New York Times”) che lavoravano pro bono, seduti sul pavimento dell’aeroporto, intenti a scrivere sui loro computer portatili la richiesta di habeas corpus e di sospensione dell’ordine esecutivo del presidente Trump.
Allego alla presente le citate immagini dei volunteer lawyer: sono gli avvocati seduti sul pavimento dell’aeroporto JFK di New York. Esse sono rappresentative della dedizione alla professione e dell’amore per il principio di uguaglianza e per i diritti alla vita, alla libertà ed al perseguimento della felicità, che i padri fondatori degli Stati Uniti fissarono nella Dichiarazione di Philadelphia del 1776 (e poi giunti in Europa con la rivoluzione francese). Ma soprattutto sono rappresentative di una di quelle che, secondo il nostro “padre fondatore” Piero Calamandrei, è tra le qualità dell’avvocato: l’umiltà.
In Italia, negli Stati Uniti e dovunque avvenga una lesione dei diritti fondamentali dell’uomo, vi saranno sempre avvocati pronti a difendere, con umiltà e dedizione.
Distinti saluti
Francesco Di Pietro (avvocato del Foro di Perugia)