Di Maurizio Ambrosini su Avvenire
Sembra, stando a certe polemiche, che a un flusso di rifugiati ‘buono’ e ben accetto, quello proveniente dall’Ucraina (125mila persone secondo gli ultimi dati), se ne accompagni un altro, cattivo, o comunque sgradito: quelli che arrivano via mare da Sud e da Sud-Est (20mila sbarcati nel 2022, fino ai primi di giugno). Eppure, ha ricordato la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese in un recente incontro con i sindaci calabresi, particolarmente coinvolti negli arrivi (quasi 4mila persone sbarcate nella Regione dall’inizio dell’anno) crescono soprattutto gli approdi dall’Afghanistan.
Se l’Ucraina è devastata dalla guerra, è un po’ difficile sostenere che l’Afghanistan sia un’isola di pace e di rispetto dei diritti umani.
Proprio le generose mobilitazioni in favore dei profughi ucraini dovrebbero insegnare che la soglia di tolleranza, oltre la quale i rifugiati diventano troppi e ingestibili, risiede nel nostro sguardo, non nei numeri in sé. Dipende dalla nostra apertura, della mente e del cuore: da quanto li percepiamo come parte della nostra stessa umanità, come persone ingiustamente perseguitate e costrette alla fuga. Insinuare che gli afghani non lo siano è un arduo esercizio politico e retorico.
Accogliere tuttavia comporta degli oneri, non v’è dubbio. È importante quanto affermato dalla ministra al riguardo: rafforzamento delle strutture di accoglienza, coinvolgimento di organizzazioni della società civile, rimborsi ai Comuni delle spese che sosterranno. I rifugiati arrivano e chiedono accoglienza in luoghi precisi: l’integrazione è necessariamente locale, come la risposta alle esigenze delle persone. Decisiva quindi, come nella gestione dei profughi ucraini, è l’attivazione di forme di accoglienza diffusa e di reti di partenariato sul territorio, basate sulla collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti sociali chiamati a partecipare a un impegno condiviso. E necessario è anche l’aiuto dello Stato per rendere sostenibile l’accoglienza nel medio-lungo periodo, con le diverse misure d’integrazione da attivare: corsi di lingua, scuola per i minori, formazione professionale, assistenza sanitaria, orientamento al lavoro. Accelerando, con idonee misure di accompagnamento, l’incontro tra profughi pronti a inserirsi nel sistema occupazionale e settori dell’economia bisognosi di manodopera, come è avvenuto con l’accordo firmato a maggio da governo e parti sociali per l’inserimento di 3mila rifugiati nel settore delle costruzioni, formandoli mediante le Scuole edili a gestione congiunta.
Un terzo messaggio riguarda l’Unione Europea. Come ha ricordato Lamorgese, chi arriva in Italia arriva in Europa. La soluzione però non è una qualche redistribuzione di quote di profughi da assistere. Diversi altri Paesi della Ue, infatti, accolgono più rifugiati di noi, in assoluto e in rapporto alla popolazione.
Guardando alle prime domande di asilo (Eurostat), nel 2021 ci precedono Germania (148.200), Francia (103.800), Spagna (62.100). L’Italia è a quota 43.900, seguita da vicino dalla ‘piccola’ Austria (36.700). Ma il punto principale è che le persone non sono rifiuti ingombranti da smaltire, negoziando la suddivisione dell’onere tra i Paesi interessati.
Prendendo spunto anche a questo proposito dal caso ucraino, dovremmo invece impegnarci a sostenere il loro diritto di scegliere dove intendono insediarsi per costruire la loro nuova vita, mandando una buona volta al macero le Convenzioni di Dublino che li bloccano nel Paese di primo ingresso.
L’accoglienza dei profughi ucraini ci sta impartendo una lezione preziosa, su di loro, su di noi, sulla nostra capacità di accogliere. Facciamo in modo che si estenda anche a chi fugge da altre guerre e catastrofi umanitarie.
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