Di Gian Mario Gillio, per Articolo 21
“La grande devastazione” inflitta alla popolazione romanì risale alle origini della storia e culmina nelle deportazioni nazi-fasciste e nei campi rom. Con il termine “Porrajmos”, dice il professor Santino Spinelli (linguista, musicista e musicologo, e già docente di Lingua e Cultura Romanì presso l’Università degli Studi di Trieste), ci si riferisce alle persecuzioni inflitte alle popolazioni romanì durante la Seconda guerra mondiale.
Una tragedia dimenticata, subita da rom, sinti manouches, kalé e romanichals (che sono etnonimi e/o autonimi, ovvero il modo in cui un popolo definisce se stesso), e fatta di deportazioni in campi di sterminio, persecuzioni, violenze, «un vero genocidio», ricorda Spinelli.
Un sito internet conserva la memoria di quella tragedia attraverso la pubblicazione di video di testimonianze dirette dei sopravvissuti e di discendenti, dati e immagini: «dagli Anni Venti – si legge su www.porrajmos.it, risultato del progetto Memors che ha dato vita al primo museo virtuale del Porrajmos in Italia – la politica fascista si è progressivamente radicalizzata delineando quattro periodi di riferimento: 1922-1938 con i respingimenti e l’allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano; 1938-1940 con gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine ed il loro confino in Sardegna; 1940-1943 con l’ordine di arresto di tutti i rom e sinti (di cittadinanza straniera o italiana) e la creazione di specifici campi di concentramento fascisti a loro riservati sul territorio italiano; 1943-1945 con l’arresto di sinti e rom (di cittadinanza straniera o italiana) da parte della Repubblica Sociale Italiana e la deportazione verso i campi di concentramento nazisti». Eppure, questa «grande devastazione» è poco conosciuta dalla maggior parte della popolazione italiana .
«Una Shoah dimenticata – sostiene Spinelli – un “porrajmos” o divoramento, una “samudaripen” un’uccisione totale o genocidio, e ancora in lingua romanés una grande morte “baro romanò maripen”, spesso dimenticata e inesplorata. Termini come questi e corrispettivi a quello di Shoah, purtroppo, non sono mai entrati nella “memoria” dell’opinione pubblica. Rom e sinti non sono stati risarciti nel dopoguerra. Per loro non c’è mai stata una Norimberga, nessuno ha mai chiesto che venissero pagate le colpe commesse nei loro confronti. Tutti errori che stanno generando mostri e mistificazioni ancora oggi, nell’anno 2017.
Quali?
«Partirei dal più innocuo, definire la popolazione romanì un popolo nomade. Questo eteronimo è attribuito loro anche quando le comunità romanès sono stanziali. E lo sono ormai da secoli. La continua mobilità che ha caratterizzato le popolazioni romanì in Europa, e nel mondo, non è mai stata una scelta culturale, bensì una conseguenza di politiche repressive e che hanno prodotto un girovagare coatto; dunque non un vero nomadismo».
Poi?
«La creazione dei “campi rom” che sono vere e proprie pattumiere sociali o “lager moderni”, certamente strumenti per “tutelare la cultura e la libertà di chi vuol essere nomade”. Pensando a quest’anomalia italiana, vengono alla mente parole quali: segregazione razziale, apartheid, ghettizzazione socio-politica. Dunque discriminazioni su base etnica, crimini contro l’umanità e mistificati nella realtà, proprio come avveniva in passato attraverso lo strumento della propaganda nazi-fascista. Un “Porrajmos” che per rom e sinti prosegue ancora oggi».
Spinelli, lei da sempre denuncia il malaffare che gira proprio “intorno” ai campi rom.
«La cultura romanì è totalmente ignorata sia a livello sociale che culturale e quando si affronta il tema “rom”, con buone intenzioni, lo si fa in termini socio-assistenziali o pietistici. Nulla invece si conosce della lingua, della letteratura, della scultura, della pittura e della musica romanì. Le comunità romanès, nonostante la segregazione, le discriminazioni e gli eccidi (che hanno colpito oltre cinquecento mila persone massacrate dai nazi-fascisti in tempo di guerra), sono dimenticate dalla storia e invece hanno contribuito a costruire l’Europa. La cultura romanì ha ispirato alcuni tra i più importanti compositori mondiali: da Brahms a Listz, da Bizet a De Falla, da Schubert a Debussy, sino ai contemporanei. Di questo, tuttavia, è meglio non parlare… è vincente per le organizzazioni “assistenziali” – che tuttora ricevono finanziamenti – affrontare il “tema rom” in modo emergenziale o come un problema da affrontare e contenere. Un fenomeno che ha fatto arricchire molte persone – non le popolazioni romanì – e che denuncio dalla notte dei tempi: l’affare “Ziganopoli”. Affari, o meglio malaffari, recentemente illuminati in modo dirompente attraverso l’inchiesta “Mafia capitale”».
Quali attività culturali sono previste in Italia per ricordare il Porrajmos?
«Sono a conoscenza di undici appuntamenti realizzati in piccoli comuni della nostra penisola, soprattutto al Sud. Che io sappia a livello nazionale, nulla».
Una memoria a metà?
«Certamente è una memoria che così non può funzionare. Speriamo che la Giornata di venerdì possa aiutare a riflettere sul fatto che ciò che è stato per molti potrebbe esserlo nuovamente per tutti, nessuno escluso. Molte sofferenze affliggono il mondo anche oggi, anche ora, in questo momento, sofferenze di cui tutti siamo a conoscenza e che riteniamo lontane, non nostre. Credo che venerdì sia utile per comprendere che non è più possibile assistere alle ingiustizie e alle sofferenze del prossimo con assuefazione e ignavia».
Dunque c’è bisogno di più profondità?
«La profondità aiuta a comprendere l’entità della tragedia, una tragedia che toccò indiscriminatamente tutti i non schierati: ebrei, rom, sinti, neri, malati, antifascisti, Testimoni di Geova, comunità evangeliche, diversamente abili, insomma categorie sociali “non allineate” al pensiero unico dominante».
Cosa ricorderete in occasione della Giornata della memoria?
«Che non è mai stata fatta giustizia e verità; che non sono mai giunte, da nessuna parte, né dalle nostre istituzioni, le scuse per quanto subito in passato per quelle infami leggi razziali. Oggi, invece, servono interventi urgenti per arginare la ghettizzazione pianificata nei “campi rom”. Sono certo che il Giorno della memoria di venerdì sarà “una Giornata” per tutti».
Gian Mario Gillio
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