Luisa Porrino, regista del docufilm in uscita a marzo, ha rappresentato attraverso le storie di Sumaya, Batul e Takoua la complessità di culture e religioni, oltre i pregiudizi
Di Piera Francesca Mastantuono
“Porto il velo adoro i Queen” è il titolo del docufilm di Luisa Porrino, un omaggio all’omonimo libro di Sumaya Abdel Qader, una delle tre donne musulmane protagoniste di questo lavoro nato per promuovere la conoscenza reciproca, basato su un’innovativa forma di distribuzione cinematografica partecipata. La regista ne racconta le origini e i temi principali.
Come nasce “Porto il velo adoro i Queen”?
Dopo aver letto il libro ho scelto di raccontare il punto di vista delle donne musulmane, per trovare, attraverso le persone, una chiave di narrazione diversa. Il libro è stato uno spunto di partenza ma il docufilm non ne è la trasposizione cinematografica. Il lavoro nasce, nel 2010, dalla mia curiosità di conoscere i mondi di appartenenza di donne di origine straniera, che fossero nate o cresciute in Italia, m’incuriosiva la loro dicotomia poiché sono come in bilico tra due mondi, senza avere il pieno riconoscimento in nessuno di essi. Le donne intervistate appartengono a due culture allo stesso tempo e ho voluto raccontarle. Così, dopo aver conosciuto Sumaya ho poi incontrato Batul Hanife e Takoua Ben Mohamed. Il docufilm mi ha permesso di realizzare una via di mezzo tra l’osservazione della realtà tipica del documentario, e il film fatto di storie di persone.
In che chiave narra questa dicotomia?
Il film racconta la vita di queste donne partendo dal principio di una chiacchierata che poi è diventata lunga 18 ore. Abbiamo affrontato diversi temi: il velo, il lavoro e la famiglia. Con il docufilm ho cercato di dare un’infarinatura di quella che è la varietà del mondo arabo e del Medio Oriente. È un mondo complesso dove ci sono, anche ma non solo, Paesi che violano i diritti umani o che vietano d’indossare il velo, quello che ho cercato di fare è stato porre l’accento sul fatto che qualsiasi scelta rispecchi semplicemente il proprio libero arbitrio ed è solo la mancanza di conoscenza reciproca a non rendere possibile un dialogo costruttivo.
La terza parte del film affronta il tema delle primavere arabe. Perché questa scelta?
È la parte nella quale le protagoniste parlano dei propri paesi d’origine e quindi viene fuori anche la primavera araba. Takoua ha così parlato della Tunisia, Batul della Siria e Sumaya di Cisgiordania e Giordania. Accanto ai loro racconti e ricordi ci sono le immagini di repertorio per raccontare, attraverso la parte documentale, cosa sia accaduto a livello storico, intrecciando così fatti storici a eventi personali.
Portare il velo in Italia com’è per le protagoniste?
Takoua è la più giovane tra le intervistate ed è anche quella che racconta di più della sua scelta d’indossare il velo, di un gesto che è diventato di protesta rispetto ad un paese, la Tunisia, che un tempo lo vietava e puniva chi lo indossasse. Per Sumaya, consigliera comunale a Milano, e Batul, psichiatra a Trento, il contesto lavorativo non è più luogo di pregiudizio, di fronte alla loro professionalità, il velo diventa irrilevante.
I Queen compaiono nel titolo del libro come in quello del docufilm. Che significato ha questa scelta?
Sono uno dei gruppi prediletti di Sumaya. Ma ad essere una provocazione è la frase “adoro i Queen”, poiché il verbo adorare è di solito usato, da parte dei musulmani, in maniera letterale, solo per Allah. Utilizzarlo rispetto a una passione, com’è quella musicale, è una provocazione interna alla comunità musulmana stessa, per ribadire la libertà di scegliere anche le parole in un Paese, l’Italia, dove il verbo adorare non ha alcuna implicazione religiosa. E poi forse già Freddy Mercury aveva dovuto combattere dei pregiudizi, essendo di famiglia musulmana e originario di Zanzibar. Chissà!
“Da marzo 2017 in tutti i cinema che decidi tu”, si legge in uno dei trailer su Facebook, cosa significa?
È il sistema di MovieDay, una rete di 140 sale dislocate in tutta Italia. Il film viene pubblicizzato totalmente sul web e sono le persone che vogliono vederlo nella propria città a creare l’evento. È una modalità nuova, partecipata e molto entusiasmante. Ad oggi abbiamo circa 7 – 8 spazi nei quali proiettarlo.
L’immagine in evidenza è la locandina del docufilm “Porto il velo adoro i Queen”