Di Lydia Gall (ricercatrice Human Rights Watch), per EuObserver.com
Traduzione a cura di Associazione Carta di Roma
«Che crimine abbiamo commesso per essere circondati da 40 poliziotti? È come se pensassero che siamo terroristi o criminali», mi ha detto la quarantottenne Khatoon, donna yazida irachena alla quale diversi membri della famiglia sono stati uccisi o presi in ostaggio dal gruppo jihadista Isis. Per un mese, finora, è stata obbligata ad attendere nel fango al confine ungherese per poter compilare la sua domanda d’asilo.
L’analisi di Khatoon fa centro. Negli ultimi due anni ho documentato le terribili condizioni nei campi, la detenzione dei bambini, le modifiche legislative progettate per negare ai richiedenti asilo l’accesso alla protezione e i brutali respingimenti alla frontiera ungaro-serba. Le autorità sperano senza dubbio che gli abusi dissuadano altri dal venire.
In questo periodo, il governo ungherese ha accresciuto i sentimenti xenofobi verso i rifugiati e i migranti e ha sostenuto un grosso sforzo – e costo – per vomitare messaggi d’odio a livello nazionale.
Insieme alle nuove e restrittive leggi che rendono difficile la vita ai richiedenti asilo e ai rifugiati, la retorica anti-immigrazione dei decision-maker e dei politici in vista è comune. Richiedenti asilo e rifugiati sono indicati come “intrusi” e “potenziali terroristi”, decisi a distruggere la civiltà occidentale e la cristianità. Il primo ministro ungherese Viktor Orban in persona, a luglio, ha fatto riferimento all’immigrazione come a un “veleno”.
Il governo rifiuta di partecipare all’accordo vincolante dell’Unione europea il quale richiede che gli stati membri ricollochino i richiedenti asilo equamente. All’Ungheria, un paese con circa 10 milioni di persone, è stato chiesto di accettare solo 1294 richiedenti asilo, ma il governo ha inveito persino contro questa piccola cifra e sta tentando di rovesciare l’accordo presso la Corte di giustizia dell’Unione europea. Oban ha, inoltre, indetto un referendum nazionale per il 2 ottobre, con il quale chiede agli ungheresi se vogliono che l’Unione imponga quote di rifugiati all’Ungheria senza il consenso del parlamento nazionale.
Una campagna nazionale finanziata dal governo iniziata a luglio, su cartelloni pubblicitari, include messaggi quali: “Lo sapevate? Dall’inizio della crisi migratoria oltre 300 persone sono morte come risultato degli attacchi terroristici in Europa?” e “Lo sapevate? Bruxelles vuole deportare l’equivalente di una città di migranti in Ungheria?”. O ancora: “Lo sapevate? Dall’inizio della crisi migratoria le molestie verso le donne sono aumentate bruscamente in Europa?”.
Uno dei cartelloni affissi nell’ambito della campagna promossa dal governo ungherese in vista del referendum del 2 ottobre.
Questa campagna – finanziata dallo stato – di disinformazione xenofoba costa ai contribuenti ungheresi l’equivalente di oltre 16 milioni di euro – circa 12mila euro per ogni richiedente asilo che all’Ungheria è stato chiesto di accogliere. Immaginate se questi soldi fossero invece stati spesi per migliorare le condizioni nei centri ricettivi e istituire programmi a supporto dell’integrazione per rifugiati e richiedenti asilo, in linea con gli obblighi e le responsabilità condivise dell’Ungheria nell’Unione Europea.
La propaganda governativa anti-rifugiati è stata amplificata dai media filogovernativi. MTVA, emittente televisiva sotto il controllo statale, ha fatto frequente ricorso a brevi edizioni tg che interrompevano gli europei – a giugno – e le olimpiadi – ad agosto – dedicando il tempo in onda a notizie anti-migranti che li dipingono come criminali, terroristi e persone che vengono per vivere alle spalle del sistema di welfare occidentale.
Gli orrori da cui queste persone disperate fuggono – guerra e oppressione – sono raramente menzionati nel contesto della “crisi rifugiati” europea, sia nei media che nel dibattito politico.
Al contrario il coro di voci anti-immigrati sta crescendo. Recentemente Gyorgy Schopflin, membro della maggioranza ed europarlmentare, ha suggerito su Twitter che sulle recinzioni al confine con la Serbia dovrebbero essere messe delle teste di maiale, per scoraggiare i rifugiati musulmani dall’entrare in ungheria.
Laszlo Toroczkai, vice presidente del partito di estrema destra Jobbik e sindaco di Asotthalom, paese al confine ungaro-serbo, ha postato con orgoglio su Facebook le foto di richiedenti asilo e migranti stesi a terra a faccia in giù, con le mani legate dietro alla schiena, accompagnate da frasi quali “Ungheria contro intrusi” e dal segnapunti di una partita di calcio.
Le iniziative della società civile ungherese e i media alternativi, tuttavia, stanno facendo del loro meglio per contrastare l’odio.
Il Partito del cane a due code, un gruppo registrato come partito politico che diffonde il proprio punto di vista attraverso la satira, ha avviato una contro-campagna che mima quella del governo con messaggi come: “Sapevate che l’ungherese medio vede più ufo che rifugiati nella sua vita?”.
“Lo sapevate? In Siria c’è la guerra” e “Lo sapevate? Oltre un milione di persone vogliono lasciare l’Ungheria per il resto d’Europa”. Sono due dei cartelli diffusi dal gruppo e partito satirico del cane a due code, che in due settimane ha ricevuto quasi 100mila euro dai cittadini per promuovere questa campagna contro l’odio.
L’Unione europea è finora rimasta in silenzio di fronte alla campagna xenofoba anti-rifugiati, così come di fronte ai brutali pestaggi al confine.
Intanto Khatoon – il cui nome ho cambiato, per proteggerla – sta ancora aspettando di compilare quella domanda d’asilo nel nel fango. È costretta ad attendere qui da un governo che non lesina sulle spese per dissuadere le persone dall’entrare in Ungheria.
L’approccio del governo ha creato una situazione miserabile e legalmente malsana per coloro che attendono in fila per mesi di compilare la domanda d’asilo e condizioni insostenibili per i pochi che ottengono la protezione.
Tutte le previsioni sono contro Kathoon.
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