Secondo Filippo Miraglia, il Protocollo di Venezia sembra continuare la campagna di criminalizzazione del diritto d’asilo e di chi svolge attività di tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati
Questo articolo è stato pubblicato oggi su Huffington Post Italia.
Protocollo di Venezia: un documento sconcertante
di Filippo Miraglia
Lo scorso 6 marzo a Venezia la presidente del Tribunale, Manuela Farini, e il presidente dell’Ordine degli avvocati, Paolo Maria Chersevani, hanno sottoscritto un protocollo che si riferisce alla sezione immigrazione del Tribunale.
Si tratta di un documento sconcertante per i contenuti e per il metodo.
I protocolli dei Tribunali (solitamente tra magistrati avvocati e cancellerie) sono una prassi consolidata, finalizzati a condividere tra i vari soggetti regole e comportamenti non previsti esplicitamente dalle leggi, per facilitare il funzionamento della macchina della giustizia.
Questo protocollo veneziano, che non deriva da una esperienza né consolidata né condivisa, arriva all’inizio dell’applicazione di una riforma, la Minniti-Orlando, che già contiene varie modifiche (alcune discriminatorie) rispetto ai giudizi ordinari e vorrebbe introdurre regole di comportamento palesemente dettate da pregiudizio e oggettivamente discriminatorie e mortificanti il ruolo del difensore del richiedente asilo.
Per esempio la previsione di tariffe diverse (art.1) per “chi vince” e per “chi perde”, sembra volta a scoraggiare chi vuole tutelare l’interesse del ricorrente. Attenzione, sembra dire l’estensore del protocollo, che se non otterrai un risultato positivo ne risentirà anche il tuo interesse personale (peraltro già molto basso in questi casi).
L’indicazione (art.6) della conduzione dell’udienza da parte del giudice, senza l’intervento del difensore, è del tutto fuori luogo e, se non fosse evidentemente strumentale, sarebbe quasi divertente, giacché è difficile sostenere il contrario, ossia che sia qualcun altro oltre al giudice a condurre l’udienza.
All’art.7 poi il protocollo abbandona ogni parvenza di “politicamente corretto” e si cimenta nel tentativo di criminalizzare tutti i ricorrenti come potenziali untori, richiedendo informazioni sullo stato di salute dei richiedenti asilo, con l’obiettivo di far emergere eventuali malattie contagiose.
Il testo peraltro comporta un’indicazione contraddittoria che fa emergere la strumentalità della previsione: se l’avvocato è a conoscenza di malattie infettive in corso non può consentire al cliente di stare in uno spazio pubblico e se la malattia non è più infettiva, la produzione di un certificato che attesti l’assenza di contagio è superflua.
Anche gli altri articoli, per quanto i due firmatari di fronte alla pioggia di critiche si siano affrettati a cercare giustificazioni poco credibili (la “toppa” appare spesso peggiore del buco) appaiono dettati soprattutto dalla voglia di allargare la già forte discriminazione introdotta con la legge Orlando Minniti.
Vale la pena ricordare che quest’ultima, per la prima volta nella storia della Repubblica, per un gruppo specifico, i richiedenti asilo, cancella qualsiasi possibilità di far valere le proprie ragioni attraverso un difensore davanti a un giudice che decide della sua vita e della sua libertà.
Infatti è stato cancellato l’appello ed è stato previsto il cosiddetto rito camerale davanti al giudice ordinario, ossia la discrezionalità dello stesso giudice di prevedere o meno un’udienza alla quale partecipino sia il richiedente asilo che il suo difensore. Un giudizio, dunque, fatto sulle carte, nonostante riguardi il riconoscimento di un diritto fondamentale.
Il protocollo veneziano punta, con tutta evidenza, a scoraggiare gli eventuali difensori, a criminalizzare i ricorrenti e in generale ad alimentare, anche per via regolamentare, l’idea che le garanzie giurisdizionali, nel caso dei richiedenti asilo, servirebbero solo a consentire a questi millantatori di approfittare delle conquiste della nostra democrazia e che quindi sia necessario limitarne i diritti per evitare l’eccesso di garanzie (d’altronde questo approccio è stato fortemente suggerito dal governo e più in generale, salvo pochi casi, dalla politica e dalla stampa).
Come un blob che tutto pervade, il linguaggio razzista si diffonde rapidamente insieme alla campagna di criminalizzazione del diritto d’asilo e di chi svolge attività di tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Chissà quali altri sorprese ci riserva questa stagione buia e rancorosa.