Di Attilio Bolzoni
Non ci sono più confini, non c’è un Nord e non c’è un Sud, non c’è più un luogo dell’odio, l’odio si diffonde con facilità, si propaga con rapidità. È contagioso. Arriva dappertutto, nelle grandi città, nelle piazze dei piccoli paesi. A a volte perfino nelle isole più lontane in mezzo al mare, che poi sono quelle più vicine all’altro mondo.
Dal ventre di un’Italia impaurita e sempre più egoista si riversa sugli schermi delle televisioni, sulle pagine dei giornali, nella rete. Neanche ce ne accorgiamo più di cosa diciamo e cosa scriviamo. Ci sembra tutto normale, usiamo gli insulti come aggettivi, insulti che ci sembrano scontati perché sempre accettati e anche invocati. E non sono mai abbastanza. C’è bisogno di gridarle sempre più forte le parole che fanno male.
Il rancore si può nascondere però anche quasi silenziosamente, ogni giorno, in poche righe apparentemente innocue. L’odio si può scatenare anche in un titolo che sembra asettico, a prima vista assolutamente neutro. A volte non c’è neanche bisogno di urlare, di dare del bastardo a un musulmano, di chiamare negro un ragazzino di colore che si aggira spaventato per una campagna di Rosarno o nell’agro pontino o fra le serre del ragusano.
Si può fare di meglio per odiare di più.
Ogni giorno, con metodo. Tanto nessuno insorge, nessuno protesta, nessuno si ribella. L’assuefazione all’odio.
Un piccolo esempio dei confini che non ci sono più, di come il Sud non è così poi distante dal Nord delle rumorose sommosse contro i migranti, di quelli che scendono in massa per le vie a parlare di quegli altri “che ci rubano il lavoro e le case e tutta la nostra vita”.
C’è anche un Sud del Sud che non aveva mai conosciuto intolleranze razziali, e che invece oggi le ha scoperte, che si batte contro gli altri, che considera l’Italia proprietà privata – il cortile di casa sua – e che scatena ogni giorno la propria guerra.
Eccolo il piccolo esempio che vi voglio raccontare.
Un foglio locale, famoso nel cuore della Sicilia per i suoi silenzi nei confronti di potenti imprenditori sospettati di contiguità con l’Alta Mafia e con personaggi politici molto chiacchierati, un piccolo foglio al soldo dei potentati locali racconta così una piccola operazione antidroga dell’estate del 2016.
Titolo: «Caltanissetta, polizia ferma quattro sospetti: pakistano trovato in possesso di hashish».
Testo dell’articolo: “Segnalato alla Procura della Repubblica per possesso di stupefacenti per uso personale un cittadino pakistano. Ieri pomeriggio gli agenti della sezione Volanti hanno fermato quattro ragazzi sospetti (un pakistano e tre italiani) e a seguito di una perquisizione personale sono state trovate, nelle tasche del giovane immigrato, due dosi di hashish”.
Il titolo parla solo di “un pakistano trovato in possesso di hashish”, ma il testo riferisce del fermo anche di tre italiani senza però fornire ulteriori dettagli su di loro. La notizia è solo quella: il fermo del pakistano, uno dei tanti pakistani che si vedono ogni giorno per la città di Caltanissetta da quando, alla periferia della città, c’è un Centro di identificazione e di espulsione e un centro di accoglienza e richiedenti asilo.
Non si forniscono particolari di cronaca sui “tre italiani sospetti”, la notizia è soltanto quella del fermo del pakistano.
Può sembrare molto riduttivo questo esempio per spiegare le ragioni dell’odio, ma è molto più significativo degli insulti e delle parole di inimicizia e di avversione e di guerra lanciate platealmente e violentemente nelle prime pagine di alcuni quotidiani a tiratura nazionale o negli studi di programmi televisivi di chiara matrice razzista.
Perché le urla soffocate o le subdole ricostruzioni di ogni giorno diventano ambigui messaggi che poi alimentano e giustificano le grida e le minacce e gli insulti, una trama quotidiana che incide di più, che penetra più profondamente nel pensiero comune.
Non è solo il commento politicamente scorretto sulla prima pagina di un grande giornale che condiziona l’opinione pubblica o può suggestionare gli italiani più impauriti o distratti, sono le mille piccole cronache quotidiane che spostano, che causano estesi danni.
Vi voglio fare un altro esempio, in fondo all’Italia.
Siamo sempre in una città dove nessuno denuncia il racket delle estorsioni, dove tutti pagano in silenzio, dove le associazioni degli imprenditori – nonostante le roboanti dichiarazioni dei loro rappresentanti – dopo dieci anni non hanno mai espulso un solo loro associato colluso con le organizzazioni mafiose.
Si mettono in ginocchio davanti ai boss ma alzano la testa contro gli altri, i disperati, gli ultimi.
Ecco la lettera di un “onesto commerciante” indirizzata a un sito molto popolare che molto volentieri pubblica.
Il titolo: “Ennesimo caso di prepotenza a danno di commercianti nisseni da parte di extracomunitari”.
L’onesto commerciante racconta di un cittadino del Gambia che una mattina entra in una pasticceria, mangia un dolce e non ha soldi per pagare. Affamato, ne vuole un altro. Alla scena assiste un ispettore della polizia penitenziaria che chiama il 113. Il ragazzo viene identificato. Il pasticciere si rende conto che il ragazzo è solo affamato, comprende la situazione e non sporge denuncia. La storia sembra finire lì.
Ma il commerciante ne viene a conoscenza e lancia il suo appello “alla popolazione e a tutti i colleghi”: “Voglio dire a tutti gli operatori commerciali di denunciare ogni prepotenza e ogni comportamento delittuoso di qualsiasi delinquente senza indugi, invitando tutti a denunciare senza riserve un malaffare che potrebbe incentivare un’escalation di bassa criminalità nella nostra piccola comunità. Mi affido al senso civico dei commercianti nisseni che sapranno reagire con determinazione e consapevolezza contro il nuovo fenomeno di prepotenza e criminalità d’importazione perché viene sottovalutato perché minore”.
La rivolta contro il racket a Caltanissetta è diventata solo ed esclusivamente lotta contro l’”estorsione per fame”, l’estorsione con la pelle di un altro colore. Davanti al resto – tanto, tantissimo crimine in guanti gialli – tutti zitti. Naturalmente compresi giornali e siti locali . È la disinformazione allo stato più puro.
Si tace – spesso per interessi economici, finanziamenti alla luce del sole ma anche occulti – su grandi affari sporchi nel territorio e ci si scatena contro i più deboli.
Con piccoli e grandi tribuni che nei loro territori fomentano campagne razziste mascherandole come campagne per la sicurezza, con alcune testate on line – come abbiamo ricordato – che appoggiano incondizionatamente queste offensive anti-migranti spacciandole come informazione. Un giornalismo – se così possiamo definirlo – senza regole e senza vergogna.
Attilio Bolzoni
Per leggere e/o scaricare il IV Rapporto Carta di Roma su media e immigrazione clicca qui.
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