Il “Corriere dell’Umbria” del 19 marzo 2018 presentava in prima pagina il titolo “Immigrati, in Umbria i peggiori”. Simile titolo, “Immigrati re del crimine”, usciva l’11 aprile 2018, sempre in prima pagina.
Tali titoli ed i relativi articoli ci invitano ad intervenire sul modo di raccontare la criminalità straniera.
Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Valeria Ferraris, sociologa della devianza all’Università di Torino e studiosa di immigrazione e criminalità, e con l’avv. Francesco Di Pietro, referente per l’Umbria dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (A.S.G.I.).
Di seguito alcune osservazioni sui citati titoli ed articoli del “Corriere dell’Umbria”.
La discrepanza tra titolo e contenuto
I titoli non titolano, urlano e giudicano. Esprimono dati di valore (i peggiori) e incoronano per presunti primati. Non sono poi necessariamente corrispondenti al contenuto. Il contenuto è in molti casi la riproposizione di dati così come riportati da altre fonti (in questo caso La relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata) senza nessuno intento di analisi.
Le fonti
Le fonti sono le statistiche in materia di criminalità. Quasi sempre le cd. statistiche sulla delittuosità, quelle relative ai delitti denunciati alle forze dell’ordine. Sembra banale dirlo ma per poter attribuire i reati agli stranieri dobbiamo conoscerne gli autori. E qui c’è il primo elemento di criticità. Le percentuali di delitti denunciati con presunti autori noti (cioè con autori individuati dalle forze dell’ordine al momento della denuncia e che dovranno poi essere sottoposti a procedimento penale per valutarne le responsabilità) tra il 1990 e il 2008 non hanno mai superato il 27% (per la serie storica si veda: Ferraris, “Immigrazione e criminalità”, 2012).
Una recente pubblicazione di Istat recita: “La maggior parte dei delitti è opera di ignoti. Di molti infatti non si conosce l’autore o, con più precisione, il presunto autore che solo a completamento dell’iter giudiziario si potrà definire colpevole” (Istat “Delitti, imputati e vittime di reati. Una lettura integrata delle fonti su criminalità e giustizia”, 2017, p. 36) e relativamente al 2014 ci dice che nei furti con strappo, quelli più comunemente chiamati scippi, il tasso di scoperto è pari al 5,9%. Detto in altri termini di tutti gli scippi compiuti conosciamo il presunto autore solo nel 6% dei casi. Va peggio con i furti con destrezza (i cd. borseggi) dove si scende al 2,5%. Va meglio con le rapine in pubblica via dove si sale al 19,9% e con le rapine in abitazione dove si sale al 27%.
Il gioco dei numeri
Facciamo un gioco matematico. Se, come ci dice l’articolo “I reati degli stranieri sopra la media nazionale. Al top rapine e spaccio” (pubblicato sul “Corriere dell’Umbria” del 19 marzo 2018), in Umbria gli stranieri sono circa il 50% degli autori di reati di rapine in pubblica via, rapine in abitazione e furti con destrezza, in realtà vuol dire che gli stranieri sono il 50% di quel (rispettivamente) 2,5%, 19,9% e 27% di autori noti che conosciamo. Sono il 50% degli autori noti e non degli autori in assoluto.
In altri termini, nel restante 97,5% (nelle rapine in pubblica via), 80,1% (nelle rapine in abitazione), 73% (nei furti con destrezza), e cioè in tutti i casi di denunce con autore ignoto, questi potrebbe essere un italiano, uno straniero o anche un marziano (per chi crede ai marziani).
Non è quindi possibile affermare che gli stranieri delinquono più degli italiani.
Il nostro gioco potrebbe continuare e farsi più raffinato. Se gli stranieri commettono il 50% del 2,5% dei furti con destrezza, allora commettono l’1,25% dei furti con destrezza: quasi nessuno, dunque.
Che siano quindi gli italiani i “re del crimine”? Ovviamente no, ma il modo di presentare i numeri può di gran lunga modificare il messaggio che si veicola.
Non ci sono “re del crimine”
Continuare a veicolare stereotipi sull’apporto criminale degli stranieri non aiuta. Non aiuta ad analizzare i fenomeni criminali. A comprendere le ragioni della specializzazione criminale di alcune nazionalità su determinati reati o del coinvolgimento di alcuni gruppi più di altri nella cd. criminalità di strada, più esposta agli sguardi dei cittadini. Non ci aiutano questi titoli e la mancanza di analisi a discutere del perché, in un’epoca di gran lunga più sicura delle precedenti (nel Medioevo si moriva molto di più; nel secolo scorso abbiamo vissuto due guerre mondiali), la paura ed il sentimento di insicurezza siano così alti. Molto è stato scritto su questo. E, se i media si facessero carico di divulgare conoscenza e non agire come megafoni di rappresentazioni utili spesso solo a una politica simbolica di maggiore criminalizzazione e pochissima efficacia, si farebbero davvero dei passi avanti.
Non possiamo non fischiare i falli
Nella sempre fiduciosa attesa che i media facciamo questo scatto in avanti (siamo ottimisti per natura), per adesso non possiamo non fischiare i falli commessi.
«Con l’Associazione Carta di Roma continueremo a vigilare affinché vi sia una fedele narrazione del fenomeno migratorio» – afferma l’avv. Francesco Di Pietro.
Immigrati, in Umbria un patrimonio umano
«In particolare, il titolo del Corriere dell’Umbria del 19 marzo 2018 (Immigrati, in Umbria i peggiori) è assolutamente lontano dalle peculiarità della presenza migratoria nella nostra Regione» – prosegue Di Pietro – «Una presenza variegata e composta principalmente da persone che hanno interagito con la comunità di accoglienza andandola ad arricchire umanamente. È inoltre un titolo che rischia di essere inutilmente offensivo verso enti pubblici locali e di privato sociale che da tanti anni svolgono una meritevole attività volta all’interazione tra umbri e migranti».
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