Lo ribadiva pochi mesi fa il Dossier statistico immigrazione 2014 di Unar: la discriminazione passa per i media. In particolare per i new media. Nel 2013 il 34,2% delle segnalazioni di casi di discriminazione ricevute dall’Ufficio anti-discriminazioni razziali era relativo ai media e tra questi ad avere un ruolo più rilevante nella diffusione di messaggi discriminanti e hate speech i social network.
Nonostante questo l’Italia appare ancora impreparata sul piano legislativo per contrastare l’odio online. A fare il punto un articolo pubblicato il 19 gennaio da Avvenire: «In Italia manca una legge contro il razzismo online», di Giovanni Grasso.
A cura di Giovanni Grasso (Avvenire, 19 gennaio 2015)
Mentre al Parlamento Europeo si discute quali possano essere, di fronte all’offensiva terroristica, i limiti del diritto alla privacy, mentre in Inghilterra il premier Cameron si chiede addirittura se vietare «Whatsapp» (il programma di messaggistica più diffuso sui telefonini), mentre la Francia si interroga sulla funzione della satira, in Itali a una variegata lobbypolitico-burocraticaculturale riesce a tenere fermi, intenzionalmente o meno, alcuni provvedimenti legislatividi tutta ragionevolezza, che rappresentano la soglia minima nella lotta ai predicatori di odio su Internet.
Circa due anni fa, impressionato dalla quantità di siti in lingua italiana che inneggiavano alla supremazia “bìanca ‘ e incitavano alla discriminazione e alla violenza contro ebrei, africani, immigrati, l’allora ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi propose un provvedimento che mirava a utilizzare nella lotta ai siti razzisti e xenofobi le stesse armi usate per combattere la pedofilia ori fine: la possibilità per la Polizia postale di oscurare questi siti anche se avessero sede all’estero e quella di perseguire non solo i proprietari dei siti, ma anche i frequentatori non occasionali. La proposta di Riccardi, dopo un lungo confronto con i tecnici del ministero della Giustizia, allora guidato da Paola Severino, finì nel circuito legislativo del Consiglio dei ministri, fermandosi però- a causa della fine del governo Monti- sulla soglia di Palazzo Chigi. Cecile Kyenge, ministro dell’Integrazione del governo Letta, tentò di riproporre la norma. Ma arrivata in Commissione fu accantonata per approfondimenti, dopo una decisa contrarietà non solo di politici, ma anche di funzionari ministeriali. Motivo? Il rischio che una legge siffatta potesse in qualche modo costituire una limitazione della libertà di espressione.
Come però hanno chiarito indagini recenti, dietro alle parole d’odio si può nascondere ben altro, come dimostra il caso del sito itali ano Stormfront: alcuni utenti di questo sito stavano progettando azioni violente contro cittadini ebrei e politici indicati come nemici della razza italica.
Gli esponenti delle Comunità ebraiche italiane, bersagli privilegiati dei siti razzisti, hanno sempre caldeggiato l’approvazione di un provvedimento di questo tipo. Male loro speranze sono state sempre deluse. Racconta Victor Magiar, assessore alla Cultura e ai rapporti con le altre minoranze dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (LIcei): «Abbiamo apprezzato e appoggiato l’iniziativa di Riccardi e poi di Kyenge. La crescita dei siti antisemiti è esponenziale. Ma è chiaro che la norma avrebbe un’applicazione più generale, penso sia ai siti jihadisti ma anche a quelli islamofobi. C’è questo dibattito sulla libertà di espressione. Credevo che fossimo a buon punto, avendo individuato come perseguibili quei siti che inneggiano all’odio razziale o religioso o incoraggiano alla violenza. Ma nonostante tante rassicurazioni, la norma si è sempre impantanata sia per l’opposizione di ambienti della poli ti ca che per resistenze della burocrazia».
Attacca la senatrice SilvanaAmati (Pd), prima firmataria della legge che introduce il reato di negazionismo: «Sulla repressione dell’odio razziale su Internet siamo in grave ritardo. Eppure i fatti di Parigi ci dicono quanto sia necessario e urgente fermare l’odio razziale che corre su Internet. Devo dire che su queste tematiche ho però sempre registrato un generale disinteresse e specifiche aree di resistenza anche all’interno del mio partito, dove ci sono strenui difensori della libertà di opinione, come se l’invito a uccidere appartenenti ad altre razze fosse un diritto intangibile». La storia della proposta Riccardi, esemplare nel suo genere, non è però isolata. Nel 2001 a Budapest l’Italia finnò con grande clamore la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il cyber crime, che attende ancora di essere ratificata.
Un protocollo aggiuntivo, del 2003, fin-nato anche dal nostro Paese, impegnava i governi a dotarsi di leggi specifiche per combattere ilrazzismo elaxenofobia on line. Il protocollo è stato ratificato ed è entrato in vigore nei principali Paesi europei (Germania, Francia, Olanda, Spagna, Portogallo, ecc.) con due vistose eccezioni: Regno Unito e, tanto per cambiare, l’Italia.
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