Ricostruire una rete di contatti, superare le difficoltà derivate dal dover padroneggiare un idioma diverso dalla propria lingua, comprendere le dinamiche del settore e apprendere nuove tecniche e stili. È lungo e complesso il cammino dei giornalisti rifugiati o esiliati – spesso vittime di persecuzione a causa della professione esercitata – che tentano di ricostruire la propria carriera nel paese che li ospita.
Trovare un’occupazione in linea con le competenze e l’esperienza acquisiti è un miraggio per molti dei rifugiati altamente qualificati sotto il profilo lavorativo che giungono in Europa. Non fanno eccezione i giornalisti che, complici le peculiarità della professione, con estrema difficoltà riescono a ricostruirsi una carriera inerenti agli studi e al percorso intrapresi. Nasce con l’obiettivo di offrire loro supporto il Refugee Journalism Project, progetto che vede la collaborazione del London College of Communication e del Migrants Resource Centre.
Sono 36 i partecipanti al progetto, provenienti da paesi quali Siria, Afghanistan, Bangladesh, Somalia e Cuba. Tra loro persino corrispondenti e produttori esecutivi che, grazie al Refugee Journalism Project, possono beneficiare di corsi formativi per comprendere i meccanismi e le dinamiche alla base del funzionamento dei media nel Regno Unito, conoscere la deontologia e le tecniche, stabilire nuovi contatti e trovare nei mentori del programma un punto di riferimento al quale rivolgersi.
Se da un lato il progetto ha come obiettivo quello di favorire l’inserimento lavorativo dei giornalisti rifugiati nel settore della comunicazione, dall’altro si propone anche di promuovere e valorizzare nella copertura mediatica complessiva le prospettive offerte da persone con un background così variegato.
«Speriamo che, attraverso il loro lavoro giornalistico, alcuni dei partecipanti possano offrire una prospettiva diversa – spiega a NewsDeeply una della fondatrici dell’iniziativa, Vivienne Francis – Non solo sulle questioni inerenti ai rifugiati, perché non dovrebbero essere “catalogati”». Favorire, dunque, l’emergere di voci ancora poco rappresentate all’interno delle redazioni. «È davvero importante che i media di maggiore portata includano la più ampia varietà di prospettive», aggiunge Rob Sharp, tra i mentori del progetto.
Immagine tratta da migrantjournalism.org
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