L’11 marzo un incontro organizzato da Refugee Welcome Italia per far conoscere il progetto attraverso le testimonianze delle famiglie che hanno accolto rifugiati e richiedenti asilo
L’accoglienza in famiglia è possibile? Sabato 11 marzo, dalle 15.30 alle 18.30 al Moby Dick di Roma, si terrà l’incontro aperto “Un pomeriggio con Refugees Welcome Italia”, occasione pensata per far conoscere le attività di Refugees Welcome Italia, ascoltare le esperienze delle famiglie che ospitano già un rifugiato e incontrare gli attivisti dell’associazione, confrontandosi sul tema dell’accoglienza.
L’associazione, costituita a fine 2015, è parte del network internazionale Refugees Welcome, nato a Berlino nel novembre 2014 per favorire la diffusione dell’accoglienza in famiglia per i richiedenti asilo e i rifugiati. Oggi fanno parte della rete 14 paesi dell’Unione europea, più l’Australia e il Canada.
«In un anno abbiamo realizzato 30 convivenze tra Roma, Milano Torino, Bologna, Abruzzo, Padova, Marche, Romagna, Firenze, Catania e Cagliari – è quanto sottolinea Sara Consolato, membro del direttivo di Refugees Welcome Italia – in tutte queste città abbiamo gruppi territoriali di attivisti. Operiamo solo dove possiamo garantire un supporto alle famiglie e ai rifugiati e titolari di protezione».
Rispetto agli altri Paesi che hanno realizzato il progetto di Refugees Welcome l’Italia ha dato importanza al tutoraggio e alla profilazione delle famiglie che scelgono di accogliere. «A Roma per ogni convivenza ci sono due tutor, una che segue il rifugiato e una che accompagna la famiglia» specifica Consolato.
Il periodo medio di accoglienza, prolungabile, è intorno ai cinque mesi e comunque tende a non superare l’anno. Chiarisce Consolato: «siamo convinti che un passaggio di vita con delle persone del luogo possa aiutare i rifugiati ad essere autonomi, basti pensare anche solo all’acquisizione della lingua italiana. Inoltre il confronto in una dimensione familiare apre prospettive nuove, ad esempio c’è stata una giovane ragazza del Ruanda che, una volta ospitata dalla famiglia di una docente universitaria, ha scelto di continuare a studiare e ha ottenuto una borsa di studio all’università Johns Hopkins di Roma».
Una forma di accoglienza attiva e diversificata a livello sociale
In un anno di attività sono state oltre 400 le adesioni da parte delle famiglie, Consolato rileva che «guardando l’anagrafica, si tratta di un’accoglienza trasversale, dal pensionato, all’insegnante, all’avvocato e molto altro».
Le motivazioni per cui si sceglie d’essere parte del progetto sono molteplici: «Si tratta innanzitutto di una risposta di cittadinanza attiva di fronte la crisi dei rifugiati – ribadisce Consolato – ma c’è anche chi lo sceglie perché vuole dare ai propri figli una prospettiva cosmopolita. In generale non è una decisione semplice, gli incontri come quello di domani servono infatti a mettere in contatto le famiglie indecise con chi ha già fatto l’esperienza così da potersi confrontare. Si tratta di giornate di formazione per fugare i dubbi».
La versione italiana del progetto mette in contatto varie parti in causa, dagli ospitanti, ai rifugiati alle associazioni, per trovare così una collocazione alle persone. Le sezioni del sito garantiscono assistenza completa e una guida al processo d’accoglienza per chi decida d’intraprendere il percorso. L’obiettivo che si sta perseguendo è quello di realizzare e proporre una tipologia di accoglienza diversa, dove i rifugiati e i richiedenti asilo siano ospitati da privati cittadini.
«Tra gli obiettivi c’è anche quello di essere riconosciuti tra le modalità della seconda accoglienza nell’ambito del sistema Sprar – conclude Consolato – pensiamo possa essere un discorso necessario da un punto di vista della coesione sociale, se queste persone non s’integrano nella società sarà sempre un problema. Lo scambio abbatte i pregiudizi. Se il rifugiato diventa il tuo vicino di casa, con il tempo ci sarà anche un cambiamento culturale, è un processo lungo ma possibile».