Ritenute una persecuzione di genere, i casi di mutilazione genitale femminile richiedono sotto il profilo psicologico grande competenza a chi vi si trova davanti. Da oggi è online una piattaforma creata da Aidos, per capire cosa sono e come agire
Sono 200 milioni le donne al mondo che convivono con le conseguenze di una mutilazione genitale stando ai dati Unicef; di queste 44 milioni hanno meno di 14 anni. Ogni anno, inoltre, nonostante si stia verificando un declino della diffusione di questa pratica in diversi paesi, sono 3 milioni le ragazze sotto i 15 anni che si stima siano esposte ad andarvi incontro.
«Le mutilazioni genitali femminili (o mgf) sono ritenute una persecuzione per motivi di genere – spiega Francesco Di Pietro, avvocato dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – Tra le ragioni a favore dell’attribuzione dello status di rifugiato a coloro che ne sono state vittima c’è l’appartenenza a un gruppo sociale, in questo caso quello femminile».
Le vittime di mgf nel sistema di accoglienza
Secondo il Parlamento europeo vivono nei paesi dell’Unione circa 500mila donne che hanno subito tale pratica e sono 20.000 le richiedenti asilo vittime di mgf che ogni anno giungono in Europa.
Praticate principalmente su bambine tra 4 e 14 anni, le mgf sono ancora praticate in numerosi paesi africani, in Yemen e Iraq e in alcuni stati asiatici. Nel Corno d’Africa, in particolare in Gibuti, Somalia, Eritrea, il livello di incidenza del numero di donne tra i 15 e i 49 anni che ha subito una forma di mgf supera il 90% (in Somalia raggiunge il 98%). Anche in Europa le mutilazioni genitali femminili continuano a essere eseguite, tuttavia trattandosi di pratiche illegali non vi sono stime che indichino la portata di tale fenomeno.
Se si incrociano i paesi dove l’incidenza della pratica delle mgf è elevata, con quelli di provenienza dichiarati al momento dello sbarco di migranti e rifugiati in Italia, si comprende quanto, potenzialmente, il delicato tema delle mutilazioni femminili interessi il nostro sistema di accoglienza.
«La parte più complessa è far emergere il caso di avvenuta mutilazione – aggiunge Di Pietro – Poiché spesso non rilevandolo come problema le donne tendono a non denunciarlo. Nel sistema dell’accoglienza bisognerebbe istituire servizi speciali allo scopo di far emergere il fenomeno e per sottrarre le donne all’assoggettamento che ne consegue».
La pratica delle mutilazioni genitali in Italia
A rendere punibile l’esecuzione delle mgf è, nell’ordinamento italiano, l’articolo 583 bis del codice penale, come spiega Di Pietro: «Si tratta del reato relativo alle “pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili”, introdotto nel 2006. Siccome a esservi sottoposta è solitamente una bambina tra gli 0 e i 14 anni, la conseguenza immediata è l’arresto dei genitori e la sospensione della responsabilità genitoriale. Prima di arrivare a questo sarebbe forse più utile intervenire con provvedimenti cautelari evitando l’arresto e il concatenarsi di ulteriori problemi».
Le stesse madri, infatti, talvolta non sono consapevoli dei pericoli ai quali sottoporrebbero le figlie ricorrendo alla mutilazione genitale, né vi vedono una violazione dei diritti umani. Esemplificativo in tal senso è il caso di una ragazza nigeriana: Maya si era rivolta al medico della struttura di accoglienza dove abitava per sapere come agire per l’escissione alla sua bambina. «La donna la riteneva una cosa normale, perché l’aveva subita da piccola, e non la viveva come angheria – racconta il giurista – Anzi, non esservi sottoposta avrebbe comportato l’esclusione dal gruppo. Qui la mediazione è stata fondamentale, il medico al quale la donna si era rivolta ha chiamato l’organizzazione in carico della sua accoglienza e sono state coinvolte le antropologhe del Centro umbro di riferimento per lo studio e la prevenzione delle mutilazioni genitali femminili. Hanno fatto con lei un percorso in cui le hanno mostrato, con dei video, cosa fosse effettivamente l’escissione, perché la donna stessa, avendola subita da piccolissima, non ne aveva memoria. Dopo è stata la donna a non volerlo per sua figlia».
Un portale in otto lingue per promuovere consapevolezza
Riconoscere in modo efficace coloro che hanno subito mutilazioni genitali e le situazioni a rischio, sin dall’arrivo nelle strutture di accoglienza, è il primo passo per evitare che altre donne possano esservi sottoposte. Per questa ragione, in occasione della Giornata mondiale contro le mgf, Aidos ha lanciato la piattaforma “Insieme per porre fine alle mutilazioni genitali femminili“, strumento di apprendimento e interazione gratuito che ha l’obiettivo di promuovere conoscenza e consapevolezza tra le vittime (e potenziali vittime), così come tra gli operatori sociali che possono trovarsi di fronte a tali situazioni. Il portale, disponibile in otto lingue, offrirà l’opportunità di un confronto diretto con esperti e professionisti di vari settori.