A ospitare il più ampio numero di rifugiati non è l’Europa, ma i paesi limitrofi alle aree che li generano. Come sono rappresentati, qui, i rifugiati? Traduciamo e pubblichiamo l’analisi della giornalista Nouran El-Behairy, pubblicata dall’Università di Oxford.
Per l’articolo originale (in inglese) clicca qui.
Di Nouran El-Behairy, University of Oxford – Faculty of Law
Traduzione a cura di Associazione Carta di Roma
Molto del lavoro di ricerca sulla rappresentazione mediatica dei rifugiati, a partire dalla seconda Guerra mondiale, è provenuto dai paesi occidentali e si è focalizzato su richiedenti asilo e rifugiati in arrivo. Ci sono tre frame principali che sintetizzano il dibattito dei media sui rifugiati nelle testate occidentali, vale a dire di Europa, Nord America, Australia e Nuova Zelanda: “masse senza voce“, “opportunisti“, “minaccia alla sicurezza e all’identità nazionale“. Malgrado l’esistenza di alcune tematizzazioni positive, i media e il lavoro di ricerca su di essi tendono a focalizzarsi sui ritratti negativi dei rifugiati, identificati come “l’altro” tracciando una linea tra “noi” e “loro”.
I ricercatori, tuttavia, indicano che il Medio Oriente e, in modo più specifico il mondo arabo, ha regole diverse quando si tratta di rifugiati. Questi paesi hanno condiviso una storia e hanno legami religiosi e culturali. Soprattutto, condividono il concetto di uruba (parola araba per “nazionalismo”). Insieme questi approcci costituiscono un senso di “fratellanza” che determina il modo in cui i rifugiati sono accolti e trattati e si potrebbe presumere che questo si rifletta anche sulla rappresentazione mediatica locale.
Per via della frontiera aperta con la Siria, oltre un milione di siriani rifugiati è entrata in Libano dal 2011, un numero che comprende solo coloro ufficialmente registrati dall’Unhcr. Sommati al mezzo milioni di rifugiati palestinesi già presenti ne territorio, questo piccolo paese sul Mediterraneo ha detenuto nel 2014 a livello mondiale la maggiore concentrazione di rifugiati rispetto alla popolazione.
L’analisi dei contenuti della copertura mediatica dei rifugiati siriani sui due maggiori quotidiani libanesi, An-Nahar e As-Safir, rivela molte similitudini coi paesi occidentali. I rifugiati sono stati sistematicamente indicati come una minaccia e un peso dai media libanesi. Allo stesso tempo non è stata data loro voce e i giornalisti solo raramente li hanno intervistati, optando, invece, per ritrarli come una massa, come numeri e in termini economici di costi.
Tre frame riassumono la rappresentazione dei rifugiati siriani in Libano. Per prima l’idea che “il Libano non può essere lasciato solo” sottolinea il modo in cui i rifugiati rappresentino un fardello per il paese in generale e per la sua economia in particolare. I rifugiati sono visti come coloro che “rubano” i posti di lavoro, come una spesa crescente per il governo e come un fattore che spinge i libanesi verso la povertà in un contesto già provato e fragile. Il Libano è presentato come bisognoso di assistenza attraverso l’appello rivolto alla comunità internazionale a condividere questo peso, offrendo fondi o ospitando parte dei rifugiati. Le critiche sono indirizzate alla comunità internazionale per il suo atteggiamento indifferente verso la situazione.
Il secondo tema che emerge indica che “i rifugiati potrebbero causare il collasso del Libano“. I rifugiati siriani sono rappresentati come una “bomba a orologeria” e come un pericolo per la sicurezza libanese attraverso la narrativa della minaccia terroristica. Sono visti come causa della re-accensione di una guerra civile perché la loro storia è raccontata come una ripetizione in larga scala della crisi dei rifugiati palestinesi in Libano. Più importante ancora, sono visti come un fattore che inclina il bilanciamento demografico e religioso nel paese, dove la situazione politica dipende fortemente dal settarismo.
I rifugiati siriani sono rappresentati dai media libanesi come “opportunisti” beneficiari di aiuti internazionali. Nella foto una rifugiata ha in mano una carta consegnata da Unhcr, attraverso la quale potrà acquistare beni di prima necessità: fornire denaro – e non direttamente i beni – consente di immettere soldi nell’economia locale. ©UNHCR/S.Hoibak
“Falsi compagni di miseria” è l’ultimo dei frame, secondo il quale libanesi e siriani vivono entrambi in condizioni miserabili, ma solo i secondi beneficiano dell’aiuto offerto dalle organizzazioni internazionali. I media normalmente affermano che i rifugiati provengono da zone sicure della Siria con l’obiettivo di beneficiare degli sforzi delle organizzazioni internazionali. I siriani sono accusati di mettere sotto sforzo l’economia e esaurire le risorse, proprio come avviene nel Regno Unito, in Australia, Canada e nell’Europa dell’est.
Anche a pochi chilometri dal loro confine i rifugiati siriani sono ancora trattati nei media come gli altri. Il nazionalismo arabo e una storia condivisa non hanno cambiato il risultato nella rappresentazione mediatica.
Molti studi accademici attribuiscono una copertura meditica negativa delle minoranze all’influenza politica, sostenendo che gli interessi politici spesso incoraggiano l’incremento della paura verso i rifugiati nel tentativo di consolidare la propria positizione prima delle elezioni e di rafforzare le politiche che, allo stesso modo, assecondano i loro interessi.
La mia analisi della copertura mediatica in Libano indica che differenti testate di parte ricorrono a dissertazioni specifiche.
Un’altra motivazione politica alla base di questo tipo di copertura è ciò che Chit e Navel chiamano “deviazione”. Suggeriscono che l’identificazione di un capro espiatorio nei rifugiati, sia da parte dei media libanesi che dell’élite politica, serve a rimuovere, o almeno minimizzare, le responsabilità del governo per i problemi che affliggono attualmente la popolazione.
Il Libano, inoltre, colpevolizza la comunità internazionale. Non è tra i paesi firmatari della Convezione di Ginevra del 1951, cosa che, in termini pratici, significa che il paese ha solo obblighi limitati nei confronti dei rifugiati, la cui responsabilità dovrebbe ricadere nelle mani della comunità internazionale. O almeno questo è ciò che sostengono l’élite politica nazionale e i media. Questa linea è normalmente adottata dai paesi in via di sviluppo. Crisp, per esempio, ha osservato un accordo implicito tra paesi sviluppati e in via di sviluppo stando al quale questi ultimi dovrebbero ospitare i rifugiati, mentre i primi dovrebbero fornire aiuti finanziari e logistici.
In ogni caso quando l’attenzione dei media si sposta dai paesi ospitanti in via di sviluppo, aumenta il timore che il supporto finanziario possa venire meno, lasciando il paese ospitate ad affrontare la crisi da solo. La copertura dei rifugiati in Libano ricorre quindi a un mix di compassione e paura nel tentativo di attrarre quell’attenzione e di conseguenza assicurare che gli aiuti internazionali continuino ad arrivare.
La maggior parte dei lettori e degli ascoltatori raramente ha l’opportunità di interagire direttamente coi rifugiati, i quali vivono in campi fuori dalle città. In queste circostanze i media hanno un ruolo importante nell’informare il pubblico: se i rifugiati continuano a essere identificati come gli altri, le conseguenze possono essere gravi, con un aumento delle tensioni alimentate dalla disinformazione e dalla paura per la mancanza di risorse.
I messaggi veicolati dai media devono essere riesaminati. Di fronte a uno spostamento prolungato di rifugiati, sono necessarie soluzioni durevoli per un’informazione più bilanciata, accurata e rappresentativa.
Per i professionisti della comunicazione la risposta è: il contesto. L’International Centre about Asylum and Refugees offre una serie di regole per coprire il tema rifugiati, tra cui includere informazioni per comprendere il contesto e includere voci diverse, evitare le generalizzazioni.
Per i lettori, invece, la risposta è: la consapevolezza. Dovrebbero essere consapevoli di quale sia l’agenda politica e della situazione dei rifugiati, informandosi e prestando attenzione alla normalizzazione delle etichette e dei tipi di trattazione da parte dei media nella rappresentazione dei rifugiati.
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