È questa la prossima “soluzione” alla crisi umanitaria? Una riflessione dal blog del sociologo Nando Sigona
Di Nando Sigona
Tratto dal suo blog “Postcards from…”
Tradotto da Associazione Carta di Roma
Il Guardian riporta il caso del processo all’attivista danese di alto profilo Lisbeth Zornig, la quale, per aver dato un passaggio a una famiglia siriana, è stata condannata al pagamento di una multa di 22.500 corone (circa 3mila euro). Stando all’articolo è una delle 279 persone che in Danimarca, solo tra settembre 2015 e febbraio 2016, sarebbero state accusate di aver commesso reati sulla base delle leggi sulla tratta di esseri umani.
A gennaio, mentre la polizia greca spingeva per imputare capi d’accusa che portano fino a 10 anni di detenzione ai bagnini spagnoli che salvano i rifugiati a Lesbo, in Francia un soldato inglese in pensione ha sostenuto un processo per aver provato a portare una bambina afgana di quattro anni dal campo di Calais fino al Regno Unito, affinché si riunisse con la sua famiglia (un caso simile si è verificato anche in Norvegia).
È questa la prossima “soluzione” alla crisi umanitaria che giunge dai politici dell’Unione europea? Intimidire i volontari per minare il sostegno a soluzioni più umane alla crisi? Magari non si concluderà con l’arresto di massa dei volontari, ma pochi casi di alto profilo potrebbero portare al raggiungimento di un risultato simile. Presi per essere di esempio e per diffondere in modo veloce e forte il messaggio, amplificato dai media favorevoli o contrari a questo tipo di azioni: ogni tipo di pubblicità è una buona pubblicità.
Forse ciò che possiamo aspettarci è un aumento di questi processi “spettacolari”. Una cosa che abbiamo imparato dall’attuale crisi nella gestione dell’Unione europea è che le cattive abitudini si diffondono rapidamente, come nel caso del filo spinato ungherese la scorsa estate, che aveva generato forti opposizioni all’inizio ed è ora preso a modello da diversi stati europei.
La criminalizzazione dei volontari funziona come deterrente per la società civile europea, dissuadendola dal lasciarsi coinvolgere e, fondamentalmente, indebolisce e divide l’ultimo bastione contrario alla linea dura dell’Unione contro i rifugiati. È questa linea dura a produrre la chiusura sistematica di ogni via legale che conduca fuori dalla Siria, intrappolandone la popolazione nel paese.
Come contrastare tali pratiche intimidatorie e deterrenti? Il caso francese può essere istruttivo. Secondo Jennifer Allsopp, autrice di una dettagliata analisi sul dibattito intorno al “délit de solidarieté“ alla fine degli anni duemila, l’unico modo per contrastare la tendenza a criminalizzare chi sostiene i migranti e i rifugiati in Francia è attraverso una mobilizzazione sostenuta della società civile, cosa che avrebbe portato la Francia ad avere oggi tra i più estesi e progressisti strumenti di protezione legale contro questo tipo di procedimenti.