“In Italia, infatti, rom e sinti non sono ‘nomadi’ e non praticano ‘uno stile di vita nomade’”
Il primo marzo fa sulla rubrica Italians di Beppe Severgnini venivano pubblicate la lettera e la risposta nell’immagine qui sotto, che hanno per argomento la minoranza rom e l’illegalità.
Associazione 21 luglio è allora intervenuta inviando una replica, che riprendiamo per intero e che è stata apprezzabilmente pubblicata dallo stesso Severgnini.
Gentile Beppe Severgnini,
sono Danilo Giannese, responsabile Comunicazione e Ufficio stampa dell’”Associazione 21 luglio”, ong impegnata nella tutela e promozione dei diritti umani di rom e sinti in Italia. Tra l’altro ho sempre apprezzato ciò che scrive e ho vissuto alcuni mesi a Washington DC, per uno stage all’Ansa diverso tempo fa, con il suo divertente libro “Ciao, America! An Italian discovers the U.S.” sempre nella borsa.
Le scrivo però a proposito di una risposta, pubblicata sulla sua rubrica “Italians” qualche giorno fa, da lei fornita a un lettore che chiedeva la sua opinione sul tema rom (“I rom e l’illegalità tollerata”). Il lettore faceva riferimento a una lettera inviata dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa al premier Renzi in cui il Commissario chiedeva al governo italiano spiegazioni sui ripetuti sgomberi forzati, che violano i diritti umani di uomini, donne e bambini, e sul protrarsi della cosiddetta “politica dei campi” in Italia. Lettera peraltro portata all’attenzione dei media dall’Associazione 21 luglio, che in passato ha più volte incontrato il Commissario, con un comunicato stampa.
Nella sua risposta al lettore non abbiamo potuto non notare alcuni elementi che, purtroppo, in maniera inconsapevole, possono contribuire inesorabilmente ad alimentare luoghi comuni e pregiudizi su rom e sinti nel nostro paese, specie se all’interno di una rubrica così seguita e influente come la sua.
In Italia, infatti, rom e sinti non sono “nomadi” e non praticano “uno stile di vita nomade” come conseguenza della loro cultura o dei loro desideri. Secondo dati della Commissione Diritti Umani del Senato, infatti, nel nostro paese solo il 3% dei rom e sinti può essere definito nomade (i cosiddetti “camminanti”). La restante parte è costituita da persone, per oltre la metà cittadini italiani, nati e cresciuti in Italia, che dalle città in cui vivono non si sono mai spostati. Neanche i rom di più recente immigrazione (Romania, Bulgaria) sono nomadi, e nei loro paesi di provenienza vivevano in abitazioni convenzionali.
Del resto, in Italia, 4 rom su 5 vivono in abitazioni convenzionali, studiano, lavorano, conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino italiano o straniero residente nel nostro paese. Spesso, temendo di essere discriminati, preferiscono tenere nascosta la loro identità e mimetizzarsi così nella società. Un rom su 5, invece, vive nei cosiddetti “campi nomadi”. Parliamo di circa 35 mila persone costrette, da decenni di politiche segregative e discriminatorie su base etnica, a vivere in luoghi che sono veri e propri ghetti etnici, creati e gestiti dalle istituzioni, lontani il più delle volte dai centri abitati e dai principali servizi (come scuole e ospedali): luoghi di isolamento fisco e relazionale, riservati a soli rom, che rendono difficoltosa se non impossibile ogni forma di inclusione sociale. Tali politiche sono state costruite per tutelare il presunto nomadismo di tali comunità. Un presupposto infondato che ha dato il la a decenni di politiche segregative per i rom in Italia, le stesse politiche che nel 2012 il governo italiano si è impegnato, in sede europea, a superare in favore di processi di reale inclusone sociale, con l’adozione della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom.
I campi rom esistono solo in Italia e, per quanto riguarda la città di Roma, l’inchiesta su Mafia Capitale ha evidenziato in maniera netta gli interessi economici che vi girano attorno, a favore di cooperative e uomini politici senza scrupoli. L’”illegalità tollerata” che dà il titolo alla lettera del suo lettore è infatti, a nostro avviso, quella delle istituzioni che permettono, nonostante i richiami di organizzazioni internazionali che si battono per i diritti umani, situazioni di violazioni dei diritti umani come quelle che avvengono nei confronti di queste comunità nel nostro paese. I problemi legati alla scolarizzazione, all’accesso al lavoro e alla criminalità sono dunque la conseguenza di politiche ghettizzanti che abbiamo riservato a tali comunità.
Da un lato li releghiamo in questi luoghi, dall’altro li accusiamo di non volersi integrare. I rom non vogliono vivere nei campi: quotidianamente ci confrontiamo con loro e il loro reale desiderio sarebbe quello di vivere una esistenza come quella di ogni altro cittadino, vivendo all’interno di una abitazione convenzionale.
Come “Associazione 21 luglio”, siamo impegnati in una forte battaglia per il superamento dei campi in Italia. Siamo infatti convinti che politiche sociali inclusive, peraltro meno dispendiose di quelle attuali, possano risolvere una volta per tutte il problema dei campi, anche di quelli irregolari in cui trovano rifugio persone in ristrettezza economica provenienti soprattutto dalla Romania, e contribuire a invertire la rotta dell’intolleranza diffusa, nella pubblica opinione, nei loro confronti.
La ringrazio profondamente per l’attenzione e il tempo che ci ha dedicato. Siamo assolutamente a disposizione per qualunque chiarimento e ci piacerebbe, in futuro, coinvolgerla in alcune nostre iniziative.