Presentato il rapporto «Centri di raccolta s.p.a.», sui costi del sistema d’accoglienza per soli rom a Roma
A cura di Associazione 21 luglio
Otto milioni di euro, una cifra superiore del 30% rispetto allo scorso anno. È quanto ha speso il Comune di Roma nel 2014 per segregare e violare i diritti umani di 242 famiglie rom nei cosiddetti “centri di raccolta rom”, per una spesa annua a famiglia di circa 33 mila euro.
A un anno dalla pubblicazione del rapporto «Campi Nomadi s.p.a.», che aveva denunciato l’esistenza a Roma di un “sistema campi nomadi” del valore di oltre 24 milioni di euro, l’Associazione 21 luglio ha presentato ieri in Campidoglio il report «Centri di Raccolta s.p.a». che completa il quadro dimostrando la presenza di un “sistema dell’accoglienza per soli rom”, parallelo rispetto all’assistenza alloggiativa prevista per i non rom, che continua a muovere denaro dal pubblico al privato senza che nulla cambi per il benessere della città e dei suoi cittadini, rom e non.
Sono intervenuti alla conferenza stampa anche il presidente della Commissione Diritti umani del Senato Luigi Manconi, l’assessore alle Politiche sociali di Roma Capitale Francesca Danese, il consigliere di Roma Capitale Riccardo Magi e il professore associato di Sociologia presso l’Università Sciences Po di Parigi Tommaso Vitale.
Nella capitale vi sono attualmente tre “centri di raccolta” propriamente detti: il centro di via Salaria, il Best House Rom e il centro di via Amarilli, campi nomadi di ultima generazione, spazi segregati e privi dei requisiti minimi stabiliti dalla normativa regionale (Legge Regionale 41/2003). Circa 900 persone, di cui la metà minori, vi vivono in situazioni spesso drammatiche, caratterizzate da spazi angusti, mancanza di privacy e condizioni igienico-sanitarie precarie, in uno stato di ricatto morale, abituati – e spesso definitivamente assuefatti – a un sistema perverso che li priva della dignità e di ogni opportunità di inclusione sociale, relegandoli ai margini della città. Ai tre centri si aggiungono quattro strutture (via san Cipirello, via Torre Morena, via Toraldo e l’ex Fiera di Roma) nelle quali risiedono circa 300 rom accolti dopo le proteste seguite agli sgomberi forzati dei loro insediamenti.
Per i sette centri l’amministrazione di Roma Capitale ha speso nel 2014 8.053.544 euro, il 29,8% in più rispetto a quanto stanziato l’anno precedente per i centri di raccolta (6.202.869 euro). Della spesa totale impiegata nel 2014, il 90,6% è stato utilizzato per la sola gestione dei centri; il 4% per sicurezza e vigilanza; il 5,4% per la scolarizzazione, mentre nulla è stato destinato all’inclusione sociale dei rom.
Per la quasi totalità, i fondi sono stati assegnati a enti e cooperative tramite affidamento diretto e senza bando pubblico. Al solo Consorzio Casa della Solidarietà, operante nei centri di via Salaria, via Amarilli, via di Torre Morena e nella ex Fiera di Roma, è andato il 49,2% delle risorse comunali (poco meno di 4 milioni di euro), seguito da Cooperativa Inopera, attiva nel Best House Rom, che ha ricevuto più di 2,5 milioni di euro (pari al 32% del totale).
Tra i centri più esosi per le casse comunali primeggia il Best House Rom – «un mostro che deve essere chiuso», come lo ha definito l’assessore Danese lo scorso 26 gennaio – costato quasi 2,8 milioni di euro nel 2014, cifra più che doppia rispetto al 2013 (+122%), pari a circa 39 mila euro all’anno per una singola famiglia. Il centro, situato in via Visso 14, risulta privo di finestre e punti luce per il passaggio di aria e luce naturale, e presenta stanze in media di 12mq ciascuna, dove vivono mediamente cinque persone. Gli altri due grandi centri di raccolta rom – via Salaria e via Amarilli – sono costati invece rispettivamente circa 2 e 1,4 milioni di euro (-23% e -1% rispetto al 2013). Per mantenere una famiglia rom nel centro di via Salaria il Comune di Roma, dal 2009, da quando cioè la struttura è nata, ha speso 231.970 euro, mentre nel centro di via Amarilli il costo annuo a famiglia, nel 2014, ammonta a 69.723 euro, pari a più di 341 mila euro a famiglia dalla nascita del centro, nel 2010.
«La gestione economica dei centri di raccolta rom rappresenta la cartina di tornasole delle politiche sociali rivolte negli ultimi anni ai rom e ai sinti della Capitale: il centro è concepito per far restare le persone accolte il più a lungo possibile, nessuna risorsa è utilizzata per la fuoriuscita attraverso percorsi virtuosi di inclusione lavorativa e abitativa», afferma il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla. «Si potrebbe dire che il sistema è garantito da una sorta di accordo implicito e consolidato nel tempo che potremmo chiamare “Patto dell’Invisibilità” e che si fonda su tre parole chiave: Assistenza, Invisibilità, Profitto – prosegue Stasolla – Nel “patto” non scritto l’Amministrazione comunale garantirebbe un mero assistenzialismo all’interno delle strutture; la famiglia rom, in cambio di un alloggio sotto-standard, assicurerebbe all’Amministrazione una sorta di invisibilità che si traduce anzitutto nella mancata rivendicazione dei propri diritti; l’ente gestore sarebbe lautamente pagato per garantire l’osservanza del “patto”».
Secondo l’Associazione 21 luglio, Roma ha oggi più che mai il dovere e l’opportunità concreta di cambiare pagina rispetto alle politiche fallimentari e dispendiose che hanno caratterizzato l’operato delle varie amministrazioni che si sono succedute negli ultimi anni, a partire da una rigorosa e non più rimandabile programmazione di una politica efficace di superamento dei campi rom.
In quest’ottica, il rapporto «Centri di raccolta s.p.a». si conclude con una lista di sette principi programmatici per costruire nuovi interventi in favore dei rom a Roma, a cura del professor Tommaso Vitale.
Per scaricare il rapporto cliccare qui.