Di Luca Rondi su Altreconomia
Decine di persone ogni giorno percorrono la rotta alpina nella speranza di attraversare il confine partendo da Oulx, in alta Val di Susa. La militarizzazione della frontiera non ferma chi si mette in cammino ma rende sempre più pericoloso l’attraversamento. Il reportage di Altreconomia
È mattino presto all’esterno del rifugio Massi di Oulx, cittadina in alta Val Susa a meno di venti chilometri dal confine italo-francese. Abdullahi, originario della Somalia, mostra i documenti agli operatori legali presenti in struttura. Sono i primi di gennaio 2022. Nella notte ha tentato di attraversare la frontiera passando il tunnel del Frejus con un Flixbus per arrivare in Germania, dove lo aspettano moglie e tre figli. Ha un titolo di viaggio valido e l’asilo politico ottenuto in Grecia ma quel documento è scaduto. Anche se fosse valido il suo passaggio non sarebbe scontato: l’Europa “tradisce” se stessa con Abdullahi che torna alla stazione dei treni e riparte per tentare l’attraversamento su un altro confine. “Se l’asilo è un diritto riconosciuto da tutti gli Stati membri, non vedo perché una persona alla quale viene riconosciuto tale diritto di restare sul territorio per essere protetto non possa muoversi liberamente all’interno dello spazio Schengen. Proprio la libera circolazione è il principio fondante dell’Ue ma su questo confine viene sistematicamente negata”, spiega Giovanni Papotti, avvocato e socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (asgi.it).
La “temporanea” sospensione della libera circolazione al confine italo-francese è diventata normalità. Da quando nel 2015 l’esecutivo di Parigi ha proclamato lo stato d’emergenza in seguito agli attacchi terroristici la presenza di controlli al confine ha continuato ad aumentare di anno in anno. “I Paesi membri dell’Ue possono reintrodurre i controlli alle frontiere per un massimo di due anni ma il governo francese sembra dimenticarsene. Aumentano i militari ma il flusso non si blocca e l’unico risultato è rendere più rischioso l’attraversamento delle persone in transito” spiega Emilie Pesselier dell’Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (anafè.org). Il confine dell’alta Val Susa è frastagliato. Si espande sia in ampiezza sia in altezza: si va dal colle della Scala, 1.300 metri di altitudine sopra Bardonecchia, al monte Chaberton, 3.300 metri. Tante opzioni tra cui le persone possono scegliere.
In questo quadro la presenza della polizia francese si concentra soprattutto nei diversi punti in cui confluiscono i numerosi sentieri che collegano il territorio francese a quello italiano. È la mattina del 5 gennaio quando su una pista da sci a pochi chilometri dal confine, due poliziotti schivano gli sciatori e puntano a Nord, poi improvvisamente cambiano direzione dirigendosi verso il fondo valle. Una “caccia all’uomo” orchestrata dai “piantoni” che dal pilone della seggiovia prima contano il numero di persone (straniere) che scendono alla fermata dell’autobus, nel centro di Claviere, poi seguono il loro tentativo di attraversare il confine. “Sapendo di essere controllate dall’alto spesso le persone si fermano a Claviere cercando nascondigli di fortuna e aspettando il buio per poi partire a un certo punto della notte con temperature insostenibili” spiega Michele Belmondo del Comitato della Croce Rossa italiana di Susa. Anche per questo, la Croce Rossa ha istituito pattugliamenti per cercare di presidiare i valichi di frontiera. “È capitato che qualcuno, infreddolito e al buio, cambiasse idea”.
Negli ultimi mesi, gradualmente, anche raggiungere Claviere con l’autobus non è scontato. Per servire i passeggeri del TGV che viaggiano da Parigi a Milano erano previsti degli autobus che da Bardonecchia e Oulx portavano le persone a Briançon facendo tappa anche nelle città di confine italiane. Oggi sono stati soppressi: le persone vengono fatte scendere a Modane e un autobus attraversa due volte il confine prima a Bardonecchia e poi a Claviere per garantire il servizio. Chilometri, tempo e spese in più per i cittadini francesi ma soste sul territorio italiane scongiurate. Anche l’azienda italiana Sadem ha diminuito le corse che da Oulx si dirigono verso il confine. “Le persone arrivano a Claviere con circa dodici chilometri in più sulle gambe, più stanchi e malconci, di certo non si fermano perché manca l’autobus” commenta Belmondo.
Se tra il 2017 e il 2018 la maggioranza delle persone che arrivavano in Val Susa erano originarie dei Paesi dell’Africa sub-sahariana, oggi chi arriva a Oulx ha percorso la rotta balcanica o è arrivato attraverso la nuova rotta via mare che collega la Turchia direttamente alla Calabria: gli afghani sono in questo momento la nazionalità prevalente. Il nuovo rifugio, aperto a fine dicembre 2021, ai primi di gennaio conta poche presenze sugli 80 posti disponibili. “Per il freddo bosniaco che ha temporaneamente bloccato le partenze” dicono i volontari.
I controlli della polizia sul confine aumentano i rischi per chi si mette in cammino
Seduti ai tavoli due ragazzi afghani, di 15 e 17 anni, chiedono informazioni. Durante la mattina hanno provato ad attraversare la frontiera: vedendo la polizia hanno deviato sui sentieri ma con le scarpe da ginnastica di tela hanno desistito. Non sanno che per loro il passaggio sarebbe concesso, almeno sulla carta, per la loro età. Le regole della frontiera sono spesso poco conosciute anche se, chi percorre la rotta balcanica prima di arrivare in Val Susa conosce meglio il freddo, le montagne. Per chi è arrivato via mare, l’idea di questa frontiera si materializza invece a un passo dal confine. Samba, di origine ivoriana, al mattino ha tentato di attraversarla trascinando una valigia e percorrendo la strada asfaltata come un normale turista. È stato respinto senza grandi sforzi della polizia.
Da quando nell’estate 2021 è operativo l’ufficio di polizia di frontiera a Bardonecchia, le persone vengono “consegnate” dalle autorità francesi a quelle italiane alla stazione di polizia al confine tra Briançon e Claviere o in quella di Modane a seconda della zona di attraversamento. Tutto ruota attorno al regolamento di Dublino, il sistema che costringe le persone a richiedere protezione nel Paese di primo arrivo. “Non sembra essere concepito manifestare la domanda di asilo in frontiera ed entrare, in questo modo, in una eventuale procedura Dublino prima di essere ritrasferiti in Italia – spiega Martina Cociglio, operatrice legale di Diaconia Valdese (diaconiavaldese.org) che a Oulx offre un servizio di supporto a chi è in transito -. Il respingimento avviene invece in poche ore e, per il fatto che non vi è un provvedimento, risulta impossibile da impugnare”. Se le riammissioni avvengono in tarda serata le persone vengono trattenute negli uffici di polizia francesi. “Sono container con pochi letti e spazi spesso sovraffollati, soprattutto oggi considerando la pandemia. Non sempre sono presenti mediatori o interpreti che informino le persone sui loro diritti, né vi è spazio per una valutazione delle vulnerabilità”. Solamente i minori – per cui non valgono le regole di Dublino – se hanno possibilità di “confermare” la propria età riescono ad attraversare. “Soprattutto da quando è presente la polizia di frontiera italiana. In termini di rispetto dei diritti delle persone in transito è l’unica cosa che è cambiata da quando ci sono gli agenti italiani – spiega Pesselier di Anafè -. Per il resto la violazione dei diritti nelle procedure è sistematica”.
I numeri che si registrano a Oulx sono un termometro della permeabilità della frontiera. “Generalmente sono 30 transiti, in media al giorno ma a volte aumentano – spiega Belmondo di Croce Rossa -. A ottobre abbiamo accolto quasi 2mila persone, a novembre quasi 2.200 con picchi serali di 120 presenze. Da un lato l’aumento degli arrivi, dall’altra la frontiera era meno permeabile e il flusso era bloccato per diversi motivi: le persone bloccate a Briançon perché senza il green pass non potevano ripartire dalla cittadina con i mezzi pubblici, forse la situazione di Calais che ha fatto stringere le maglie al governo francese. Poi il flusso è tornato normale: questo dimostra che i controlli non fermano le persone. Semplicemente queste tentano più volte e magari su strade più pericolose”.
Il 3 gennaio la polizia francese ha diffuso la foto di un uomo di 31 anni, di origine marocchina, ritrovato morto a Freney, a Sud di Modane, che molto probabilmente ha attraversato il confine italo-francese tra il 29 dicembre e il primo gennaio 2022. “Un sentiero meno battuto ma non per questo meno ‘frontiera’. Non è però la montagna che ammazza ma i controlli di polizia -spiega Piero Gorza coordinatore dei volontari di Medici per i diritti umani (medu.org) in Piemonte -. Chi può tenta in tutti i modi. Giovani che hanno bucato una decina di frontiere e pensano di farcela anche questa volta. La disumanità di questa farsa per cui bisogna militarizzare tutto, le persone passano lo stesso ma poi qualcuno muore. E così da farsa diventa una tragedia”. Dal 2018 sono sei le persone morte su questo confine. “Ma è una stima. Spesso i soccorsi sono difficili: non si conosce la persona esatta e poi sono persone che non vengono reclamate da nessuno. Nel mese di aprile tre ricerche si sono concluse nel nulla”, sottolinea Michele.
I solidali al fianco di chi è in transito
La rete solidale è quella che salva. Perché fornisce giacche, scarponi, berretti, guanti e di fatto fa attività di prevenzione. “La particolarità di questa frontiera è forse la presenza di una rete ramificata di sostegno. Si tenta di dare una risposta dignitosa a chi transita” spiega Gorza. Una rete che è trasversale: il movimento anarchico che, occupando la casa cantoniera Chez JesOulx hanno accolto per anni chi era in transito, i volontari che quotidianamente si recano al rifugio Massi per sostenere le attività, le suore di Susa, che offrono posti letto e sostegno per i casi più vulnerabili, le Ong attive sul confine. Oggi questa accoglienza è più istituzionalizzata rispetto al passato, dopo la chiusura della casa cantoniera. “Una casa che ha salvato molte vite, ne sono convinto e che ci interroga molto – continua Gorza -. Così come a Velika Kladuša, in Bosnia ed Erzegovina, le persone forse preferiscono i posti informali. In molti ci stiamo interrogando sul perché. Si cercano così soluzioni che garantiscano un’accoglienza sempre più adeguata alle persone in transito: laddove vengono riconosciute come soggetti e meno come ‘migranti’, meno ‘cose’ oggetto della benevolenza altrui si sentono più accolte. La frontiera funziona da angolo prospettico per capire molte cose del nostro mondo”.
Un essere soggetti che interroga anche il diritto. “Gli attuali meccanismi legislativi e burocratici da Dublino all’impossibilità di circolare liberamente non rispettano i tempi della migrazione, gli affetti, la possibilità di scegliere il posto in cui vivere non solo in base a motivi economici – conclude Papotti -. È lo stesso passato coloniale degli Stati membri che influisce sul desiderio di una persona di andare in Francia, magari perché banalmente sa già la lingua. Tutto questo manca, in normative che continuano a guardare alla migrazione con la lente sbagliata. Questa frontiera lo dimostra”.
Foto in evidenza di Luca Rondi/Altreconomia