Di Eleonora Camilli su Redattore Sociale
Una lunga distesa di tetti in lamiera, casette di terra, tende sorrette da pezzi di legno, impilati uno sull’altro. Per 13 anni il campo profughi Zam Zam è stato la casa di Said*. Nato in Darfur, una delle regioni più povere del Sudan, dove gli sfollati interni sono migliaia, il ragazzo ha passato l’infanzia in questo luogo sospeso, tra precarietà e insicurezza. Gli unici momenti felici erano i giochi con gli altri bambini e i giorni in cui il vicino di tenda, un medico, lo portava con sé mostrandogli il suo lavoro. “Un giorno anch’io diventerò un dottore” pensava, ma la sua istruzione è sempre stata irregolare. Ma a cambiargli la vita da un giorno all’altro è stata la violenza: poco più che bambino ha dovuto assistere alla ferocia brutale delle milizie janjaweed, che una volta entrate nel campo hanno ucciso e torturato alcuni membri della sua famiglia. Said è riuscito a nascondersi e, messosi miracolosamente in salvo, ha capito che l’unica speranza erala fuga: a fatica è riuscito ad arrivare in Libia dove è stato portato subito in un centro di detenzione per migranti. Qui è stato trattenuto per 5 mesi, tra gli abusi e le vessazioni degli aguzzini che volevano far pagare un riscatto ai suoi familiari. Così, per la seconda volta, Said si è dato alla fuga: nel 2020, è fuggito in Niger e lì ha chiesto asilo. Per due anni la sua casa è stata di nuovo un campo per rifugiati, stavolta ad Agadez. Qui ha incontrato Abdoul* anche lui diciassettenne, nato in Darfur e scappato dai janjaweed. Insieme hanno iniziato a immaginare una nuova vita lontano, dove poter ricominciare a vivere come gli altri ragazzi della loro età.
Nel 2021 sono arrivati in Italia con il programma “Pagella in tasca”, realizzato da Intersos insieme a Unhcr. Il nome è un omaggio alla storia di un bambino maliano di soli 14 anni, morto nel Mediterraneo centrale, che viaggiava con un unico documento addosso: una pagella scolastica, arrotolata nella tasca del giubbotto, con voti altissimi. Nella pratica, si tratta di uno speciale corridoio umanitario riservato ai minori non accompagnati. Un progetto unico a livello mondiale che l’Italia per prima sta sperimentando proprio a partire dal campo di Agadez.
Il Niger è uno snodo cruciale dei flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo Centrale soprattutto a partire dal 2015, quando le politiche di esternalizzazione dell’Unione europea finalizzate a bloccare i flussi migratori hanno determinato la sostanziale chiusura delle frontiere verso Nord. Questo ha aumentato fortemente i rischi per chi tenta di attraversare il deserto e raggiungere la Libia. Contestualmente negli ultimi anni proprio dal Niger sono stati attivati programmi di resettlement e complementary pathways per realizzare l’arrivo sicuro di un piccolo numero di rifugiati dai campi di Agadez verso l’Europa, gli Stati Uniti e il Canada.
Paradossalmente, tuttavia, i minori non accompagnati (cioè che viaggiano da soli) sono esclusi dalla maggior parte di questi programmi. Non possono, infatti, essere inseriti nei corridoi umanitari verso l’Italia. E non si tratta di una specificità italiana: a livello internazionale, non risulta che minori non accompagnati siano mai stati inseriti nell’ambito di complementary pathways, neanche verso Paesi con una consolidata esperienza in questo ambito come il Canada o la Gran Bretagna. Molti Stati, infine, non accettano questi minori nei propri programmi di resettlement.
I più vulnerabili tra i rifugiati sono dunque esclusi a priori dalle vie legali più sicure. “Uno dei problemi è costituito dalla complessità delle procedure per il trasferimento e l’accoglienza dei minori non accompagnati – spiega Elena Rozzi, responsabile del programma “Pagella in tasca” per Intersos -: Gli adulti possono decidere autonomamente, per i minorenni invece serve qualcuno che possa valutare se il trasferimento in un altro Paese risponda o meno al ‘superiore interesse del minore’. Può sembrare scontato che per un ragazzo non accompagnato rifugiato sia meglio andare in Italia anziché restare in un campo profughi, ma serve comunque una procedura formale per stabilirlo”.
Per trasferire un minore da un paese all’altro è necessario, poi, il consenso dei genitori che vanno rintracciati nel Paese d’origine o in un Paese terzo. “Se ciò non è possibile bisogna almeno dimostrare di avere svolto tutti gli sforzi possibili per trovare i familiari- aggiunge Rozzi -. L’altra questione riguarda poi l’accoglienza perché un minore non accompagnato può essere accolto solo in un centro autorizzato o accreditato come struttura idonea ai sensi della legge, oppure si può ricorrere all’affidamento familiare. E non è facile trovare posti disponibili nelle strutture per minori così come famiglie disponibili e valutate idonee”.
Infine ci sono gli ostacoli legati alla gestione delle procedure amministrative: ogni minore non accompagnato deve essere segnalato al Tribunale per i minorenni, che deve nominare un tutore. Ma la nomina spesso arriva dopo mesi. E fino a quel momento chi gestisce l’accoglienza del minore spesso incontra problemi per iscriverlo a scuola o al Servizio Sanitario Nazionale o ad avviare la procedura per la domanda d’asilo. “Tutti questi elementi rendono il trasferimento e l’accoglienza in Italia dei minori non accompagnati particolarmente complessi. Si spiega perché sia così difficile inserirli in programmi di resettlement e, soprattutto, nei complementary pathways – spiega ancora la responsabile di Intersos -. Questo paradosso lo vediamo bene nei due campi in Niger, ad Hamdallaye e Agadez. In questi campi, infatti, sono accolte alcune centinaia di minori non accompagnati, prevalentemente originari del Darfur, nati durante la guerra che ha insanguinato la loro terra d’origine provocando centinaia di migliaia di morti. Molti di questi ragazzi sono fuggiti da soli dal Sudan in Libia, dove hanno subito maltrattamenti, sfruttamento e torture, e spesso sono stati detenuti in centri di detenzione. Ma una volta accolti in Niger hanno poche possibilità soprattutto dal punto di vista educativo e formativo”.
Così la maggior parte degli adulti e dei nuclei familiari accolti nel centro Etm (Emergency Transit Mechanism) sono inseriti in programmi di resettlement e in complementary pathways come i corridoi umanitari verso l’Italia. I minori non accompagnati no. Alcuni in questi anni, colti dalla disperazione, sono nuovamente partiti per la Libia. Il progetto “Pagella in tasca” è nato proprio per provare a superare questo paradosso.
L’organizzazione umanitaria Intersos, che lavora dal 2018 in Niger, ha avviato nel 2020 il progetto pilota per la sperimentazione a livello internazionale di un complementary pathway per minori non accompagnati. Prevede l’ingresso in Italia di 35 minori rifugiati in Niger, con un visto per studio e la loro accoglienza in affidamento familiare. Il progetto è innovativo anche perché finalizzato alla promozione del diritto allo studio ed è fondato sul rilascio di un visto d’ingresso per studio non universitario, previsto dal Testo Unico sull’Immigrazione per minorenni tra i 15 e i 17 anni, ma ad oggi mai utilizzato per promuovere l’ingresso di minori rifugiati: a differenza dei corridoi umanitari, dunque, questo canale di ingresso si fonda non su una “concessione” da parte dello Stato relativa a una specifica quota di ingressi, ma su una norma ordinaria che prevede il rilascio del visto per studio a fronte di determinati requisiti oggettivi e senza quote. Inoltre “Pagella in tasca” è basato sulla community sponsorship con il supporto delle famiglie affidatarie, dei tutori volontari e delle organizzazioni del privato sociale, e sul ruolo centrale dei Comuni e delle scuole. Il progetto è realizzato in partenariato con UNHCR, il Comune di Torino, l’Ufficio Pastorale Migranti della Diocesi di Torino, la Rete CPIA Piemonte, la cooperativa Terremondo, le associazioni ASAI, Mosaico – Azioni per i rifugiati e Frantz Fanon, e con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana, della Fondazione Migrantes, di Acri e della Fondazione Compagnia di San Paolo.
Ad agosto 2021, dopo quasi un anno di negoziazione, è stato firmato un Protocollo d’intesa nazionale che vede tra i firmatari, oltre ai partner del progetto, anche il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero dell’Interno, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la Fondazione Migrantes. “Il primo gruppo di 5 minori è entrato in Italia a ottobre 2021, mentre il secondo gruppo è arrivato a ottobre 2022. Per poter far arrivare in Italia attraverso questo canale altri minori non accompagnati rifugiati, stiamo cercando nuove famiglie affidatarie disponibili ad accoglierli e altri Comuni interessati a partecipare al progetto – aggiunge Rozzi -. Naturalmente, “Pagella in tasca” è solo una goccia nel mare: si tratta di 35 minori che entreranno in Italia con un canale regolare e sicuro, a fronte di più di 10.000 persone morte o disperse nel Mediterraneo negli ultimi 5 anni e oltre 85.000 persone intercettate e riportate forzatamente in Libia mentre cercavano di fuggire dalla guerra, dalle violenze e dalle torture, con il supporto delle autorità italiane e dell’Unione Europea – conclude Rozzi -. Ma bisogna ricordare che i complementary pathways non devono essere usati mai per legittimare le politiche di esternalizzazione e di chiusura delle frontiere”.
Anche secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) il progetto “Pagella in Tasca” è innovativo sotto vari punti di vista. “In primo luogo, ha come focus specifico la tutela dei minori. In secondo luogo, si basa sull’idea di garantire l’accesso al diritto fondamentale allo studio dei minori rifugiati, un diritto negato nella stragrande maggioranza dei casi. Infatti, i minori vengono selezionati per il progetto tenendo in considerazione non solo le loro necessità ma anche la loro propensione a proseguire il percorso di studio – spiega la rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, Chiara Cardoletti -. In terzo luogo, il progetto prevede, attraverso la sinergia tra il terzo settore, enti locali e comunità di accoglienza, la possibilità che i ragazzi inclusi nel progetto, una volta giunti in Italia, vengano accolti presso famiglie affidatarie e non in centri per minori”.
* I cognomi dei soggetti coinvolti, minori non accompagnati, non vengono indicati per tutelarne l’identità. UNA VIA SICURA è un reportage in dieci puntate realizzato e pubblicato da Redattore Sociale in collaborazione con Acri. Il lavoro giornalistico, curato da Eleonora Camilli con il supporto grafico di Diego Marsicano e la supervisione di Stefano Caredda, affronta da più punti di vista il tema delle migrazioni, raccontando alcune delle esperienze supportate da Acri nel suo Progetto Migranti.
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