Di Giuseppe Giulietti, per Articolo 21
Quasi mezzo milione di vittime, un’aspettativa di vita passata da 70 a 55 anni, migliaia di bambini uccisi, 5 milioni e forse più di profughi, centinaia di migliaia di persone disperse nei campi di accoglienza. Queste sono solo alcune delle cifre che segnano il massacro in atto in Siria; un massacro che dura dal 2011, al quale la comunità internazionale ha deciso di assistere per non alterare gli equilibri interni e, soprattutto, esterni alla Siria.
Tra Damasco ed Aleppo combattono non solo siriani pro o contro lo spietato regime di Assad, ma anche militari e tecnici russi, turchi, americani, iraniani, libanesi, iracheni, terroristi dell’Isis e, da ultimo, anche una pattuglia di cinesi.
Ognuno rivendica le sue ragioni e identifica se stesso con le “ragioni” della libertà e della indipendenza, ma quasi a nessuno sta a cuore il massacro continuo, l’abrogazione di qualsiasi diritto civile, gli ospedali bombardati, i bambini violati, la dignità calpestata.
Da qualche settimana, anche di fronte all’assedio di Aleppo, alle migliaia di vittime, alle poche immagini filtrate all’esterno, l’Onu, attraverso il commissario De Mistura, ha invocato una tregua immediata, necessaria per soccorrere le popolazioni, per curare i feriti, per garantire i rifornimenti essenziali, neppure questa proposta è riuscita a raccogliere il consenso necessario.
Il muro dell’odio e della indifferenza, per riprendere le parole di Papa Francesco, è reso ancora più impenetrabile dalla censura, dalla impossibilità di raccontare quanto sta accadendo.
La Siria, come ha confermato anche l’ultimo rapporto di Reporter sans frontieres, occupa il posto numero 177 su 180 paesi presi in esame.
Oltre 50 i cronisti ammazzati, quasi tutti siriani, per non parlare di quelli sequestrati; tra loro Domenico Quirico, Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe, Andrea Vignali, Susanna Dubbous, per limitarci ai giornalisti di nazionalità italiana. Ogni tanto la foto di un bambino, ultima quella del piccolo Omran, determina un moto di indignazione, uno scatto di rabbia, una commozione generalizzata, destinata a spegnersi con il passare del tempo, magari in attesa del prossimo scatto.
Da qui l’appello alla iniziativa lanciato da Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, e da Antonella Napoli, presidente di Italia for Darfur e tra le animatrici dell’associazione Articolo 21, che hanno promosso, per venerdì 2 settembre un sit in a Roma, in Piazza Santi Apostoli, dalle ore 11, a poche decine di metri da quelle istituzioni europee alle quali sarà chiesto di dare forza e sostegno alla proposta di tregua lanciata dall’ONU. All’appello hanno già risposto associazioni e mondi diversi per ispirazione politica, culturale, religiosa: da Amnesty alla Federazione della stampa, dall’Usigrai a Nobavaglio, dalla rivista San Francesco a Confronti, periodico della Chiese Evangeliche, dalla Tavola della Pace a Libera Informazione, dall’Arci a LasciateCientrare.
Sarà solo il primo passo per arrivare ad una grande iniziativa nazionale contro la guerra e per chiedere l’immediata sospensione dei bombardamenti in Siria.
Sarà anche un modo per ricordare padre Paolo Dall’Oglio l’uomo di pace e di dialogo sequestrato tre anni fa da una delle bande che hanno preso in ostaggio lui e la Siria.
Mai come in questo momento ci sarebbe stato bisogno dei suoi gesti di pace!
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