Il trend non indica una diminuzione delle violenze in generale, ma il fatto che, almeno in parte, molti operatori dei media stanno rinunciando a lavorare nelle parti più pericolose del mondo, oltre che una migliore protezione per chi opera nel settore dell’informazione
A cura di Fnsi
Sessantacinque giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi nel mondo nel 2017. L’ha valutato Reporter senza frontiere (RSF) nel suo rapporto annuale. Tra loro ci sono 50 reporter professionisti, il dato più basso degli ultimi 14 anni. Il trend non indica una diminuzione delle violenze in generale, ma il fatto che, almeno in parte, molti giornalisti stanno rinunciando a lavorare nelle parti più pericolose del mondo, oltre che una migliore protezione per chi opera nel settore dell’informazione.
Sui 65 giornalisti, professionisti e non, morti nell’anno, 39 sono stati scientemente assassinati e 26 sono rimasti uccisi mentre esercitavano la professione. Come lo scorso anno, la Siria resta il paese più mortale per i reporter, con 12 giornalisti uccisi, davanti al Messico (11 giornalisti morti), l’Afghanistan (9), l’Iraq (8) e le Filippine (4).
Se il numero dei giornalisti uccisi nel mondo nel 2017 è calato rispetto all’anno scorso, quando erano stati censiti 79 decessi, secondo RSF, questo è dovuto alla “presa di coscienza crescente della necessità di meglio proteggere i giornalisti e alla moltiplicazione delle campagne realizzate in questo senso dalle organizzazioni internazionali e dagli stessi media”. Ma anche al fatto che “paesi divenuti troppo pericolosi si svuotano dei loro giornalisti”. È il caso di “Siria, Iraq, Yemen e Libia, dove si assiste a un’emorragia della professione”. (Askanews, 19 dicembre 2017)
L’immagine in evidenza è tratta da www.fnsi.it